Impingement posteriore di caviglia

Ecco una guida per il fisioterapista su valutazione e gestione della sindrome da impingement posteriore di caviglia.

Sindrome da impingement posteriore di caviglia

La sindrome da impingement posteriore di caviglia (o conflitto posteriore di caviglia) è una delle cause più comuni di dolore cronico alla caviglia. Questa sindrome si presenta a causa di una compressione delle ossa e dei tessuti molli durante il movimento di plantiflessione1. Può svilupparsi in seguito a flessioni plantari ripetute e forzate della caviglia, ma può presentarsi anche in seguito ad un evento traumatico con eccessiva plantiflessione della caviglia, come ad esempio una distorsione.

Alcune condizioni anatomiche possono favorire l’insorgenza di questa sindrome come ad esempio la presenza di un “os trigonum, un processo di Stieda molto prominente, presenza di osteofiti a livello della caviglia o dell’articolazione sotto-astragalica1.

Impingement posteriore di caviglia: anatomia
Anatomia della caviglia.

Tipologia di paziente

Tipicamente questa sindrome si presenta in pazienti sportivi, in cui il gesto tecnico richiede una plantiflessione della caviglia contro resistenza e ripetuta. Pertanto spesso i soggetti che incorrono in una sindrome da impingement posteriore sono ballerini, calciatori, giocatori di football americano, lanciatori del giavellotto e ginnasti 2.

Un recente studio ha evidenziato però come la sindrome da impingement posteriore di caviglia non si presenti soltanto negli atleti, professionisti o amatoriali, ma anche in persone che non praticano sport. In particolare questa sindrome sembrerebbe manifestarsi prevalentemente negli autisti o in persone che passano molto tempo alla guida3.

Possiamo quindi considerare come fattori di rischio per l’insorgenza della sindrome da impingement posteriore di caviglia:

  • varianti ossee anatomiche (presenza di “Os trigonum” o un processo di Stieda prominente);
  • presenza di osteofiti;
  • movimenti ripetitivi in plantiflessione (sportivi o autisti);
  • storia di precedenti traumi alla caviglia o piede4.

Sebbene la presenza di “Os trigonum” sembrerebbe essere un fattore di rischio per l’insorgenza di sindrome da impingement posteriore di caviglia, tuttavia, le associazioni tra la presentazione clinica della sindrome e le immagini diagnostiche (TC o Risonanza magnetica) non sono chiare5.


Patofisiologia

La sindrome da impingement posteriore di caviglia è dovuta alla compressione delle strutture posteriori alle articolazioni tibio-talare e talo-calcaneare nei gradi più estremi della flessione plantare del piede6. Le cause di tale compressione possono essere imputate a diverse strutture anatomiche di natura ossea e/o tessuti molli.

Nella maggior parte dei casi documentati di sindrome da impingement posteriore di caviglia, la causa è determinata dalla presenza di “os trigonum” (anche in relazione alle sue dimensioni7) o di un prominente processo di Stieda8. Inoltre, variazioni anatomiche di tibia e calcagno sono risultate essere fortemente correlate alla presenza di impingement posteriore di caviglia nei ballerini8. Più rari sono i casi documentati di presenza di ossicoli talari accessori che potrebbero essere causa di impingement8.

Un altro fattore che predispone alla sindrome da impingement posteriore è la presenza di instabilità laterale di caviglia. Infatti, si viene a creare un impingement osseo quando l’instabilità della caviglia permette al piede di scivolare in avanti al di sotto della tibia quando i ballerini si mettono sulle punte (relevè); questo determina una traslazione anteriore dell’astragalo e il conseguente avvicinamento della parte posteriore della tibia con il calacagno che può causare dolore8.

impingement posteriore di caviglia

Oltre alle cause determinate dalle strutture osse, sono state identificate anche alcuni tessuti molli che potrebbero essere causa di impingement posteriore di caviglia. Tra queste cause possiamo distinguere quelle a carico della capsula articolare e della sinovia (sinoviti talocrurali e subtalari); quelle legamentose, imputate ai legamenti talo-peroneale posteriore, intra-malleolare posteriore e tibio-talare posteriore; e quelle tendinee, a carico del flessore lungo dell’alluce8.

Sinoviti talo-crurali e sub-talari potrebbero essere associate con sindrome da impingement posteriore, e sembrerebbero essere causate da distorsioni in eversione della caviglia ripetute nel tempo che hanno creato una condizione cronica8

La posizione del legamento talo-peroneale posteriore e del legamento intra-malleolare posteriore, li espone alla possibilità di compressione nella posizione di massima planti-flessione e possono quindi diventare concausa di impingement8. Per quanto riguarda invece il legamento tibio-talare posteriore, infortuni ripetitivi in inversione del piede possono determinarne l’impingement tra il malleolo mediale e la parte mediale del talo8.

Il tendine del flessore lungo dell’alluce è a rischio di impingement, passando in un canale tra i tubercoli mediale e laterale del talo, in particolare in associazione con un “os trigonum”, che viene a posizionarsi immediatamente a lato del tendine del flessore lungo dell’alluce8.


Diagnosi differenziale

Vediamo ora quali sono le patologie da indagare ed escludere durante il processo di diagnosi differenziale nel paziente con sospetto impingement posteriore di caviglia:

  1. lesione del flessore lungo dell’alluce;
  2. tendinopatia achillea;
  3. tendinopatia del tibiale posteriore;
  4. sindrome del tunnel tarsale;
  5. fratture a carico dell’astragalo o del calcagno;
  6. borsite retrocalcaneare;
  7. artrite reumatoide.

Elementi anamnestici

Durante l’anamnesi, il paziente con impingement posteriore di caviglia ci riferirà:

  • presenza di precedenti traumi alla caviglia;
  • presenza di dolore alla plantiflessione forzata;
  • attività/sport che richiedano una ripetitiva plantiflessione.

Esame obiettivo e valutazione

Riguardo all’esame obiettivo, possiamo proseguire con le seguenti osservazioni:

  • osservazione di piede, caviglia e gamba;
  • valutazione articolare della caviglia (passiva e attiva);
  • valutazione articolare del ginocchio (passiva e attiva);
  • palpazione della rima articolare posteromediale;
  • valutazione della sensibilità (piede, gamba e caviglia);
  • valutazione della forza (muscolatura intrinseca del piede, dorsiflessori, plantiflessori);
  • plantiflessione forzata;
  • inversione forzata.

Trattamento

Nonostante il trattamento conservativo sia quello preferibile, non sono presenti molte informazioni in letteratura. Gli obiettivi principali del trattamento sono quelli di:

  • recuperare il Range di movimento;
  • ridurre il dolore;
  • rinforzare la muscolatura profonda della gamba (tibiale posteriore, peronei, flessore lungo dell’alluce, flessore lungo delle dita)9;
  • migliorare la stabilità della caviglia6;
  • migliorare la propriocezione6.

È consigliato, in un primo momento, l’utilizzo del protocollo POLICE (protezione, carico ottimale, ghiaccio, compressione, elevazione). Successivamente, oltre ad un progressivo aumento del carico, saranno inseriti all’interno del trattamento esercizi su superfici diverse e tavolette propriocettive.

Infine è possibile il graduale rientro all’attività sportiva.

Qualora il trattamento conservativo non sia stato efficacie, dopo 12 settimane è consigliato un approccio chirurgico (in endoscopia)10. In questo caso all’intervento segue una fase riabilitativa che prevede l’utilizzo di un bendaggio funzionale, una precoce ripresa del carico e una precoce mobilizzazione della caviglia (secondo la tolleranza del paziente), in modo da facilitare il recupero biologico delle strutture e ridurre i tempi di recupero.

Carichi progressivi, esercizi di stabilizzazione e propriocezione, attività sport-specifiche possono riportare il paziente alle attività precedenti l’operazione (compresa l’attività sportiva) in media 11-12 settimane dopo l’operazione10.


Prognosi

Nonostante non siano presenti molte evidenze, il trattamento riabilitativo sembrerebbe essere efficacie nella maggior parte dei casi (tra il 60%11 e il 75%12) in cui sia presente un impingement legato ai tessuti molli e in cui non ci siano elevate richieste funzionali. In questo caso la risoluzione del dolore e il ritorno alle normali attività avviene entro i 4 mesi.

Qualora, invece, dopo 12 settimane di trattamento conservativo i miglioramenti non siano significativi, sia necessaria una ripresa più rapida ed elevate richieste funzionali (come ad esempio negli atleti), è consigliato il trattamento chirurgico10. In questo caso la quasi totalità dei pazienti risolve il problema e con adeguato trattamento riabilitativo ritorna senza dolore alle attività precedenti l’intervento in media in 12 settimane10.