Spondilite anchilosante

Ecco una guida per il fisioterapista su valutazione e gestione della spondilite anchilosante.

spondilite anchilosante

La Spondilite Anchilosante rappresenta il sottotipo più diffuso di un gruppo di malattie reumatiche infiammatorie che prendono il nome di spondiloartriti sieronegative (o ancora più precisamente Spondiloartopatie sieronegative). Le spondiloartriti possiedono caratteristiche cliniche, genetiche e radiografiche comuni ma anche delle peculiarità che le distinguono tra loro. Le spondiloartriti sieronegative coinvolgono principalmente lo scheletro assiale (colonna vertebrale ed articolazioni sacroiliache) ma non di rado possono manifestare sintomi periferici: sono infatti frequenti artriti, sinoviti, entesopatie e/o dattiliti. Già da questa breve introduzione si può comprendere la complessità nella gestione di questa patologia per il possibile coinvolgimento di più sistemi. [1]

Come accennato in precedenza la Spondilite Anchilosante rappresenta il capostipite del gruppo di spondiloartriti sieronegative, in cui però si possono riconoscere altre 4 forme:

  • 1) l’artrite psoriasica;
  • 2) l’artrite reattiva (precedentemente conosciuta con il nome di Sindrome di Reiter);
  • 3) spondiloartrite associata a malattie infiammatorie croniche intestinali (conosciuta anche con il nome di artrite enteropatica);
  • 4) forme indifferenziate.

La Spondilite Anchilosante colpisce principalmente la colonna vertebrale e le articolazioni sacroiliache e nello specifico la patologia è caratterizzata da un mal di schiena infiammatorio ad insorgenza e progressione graduale che può provocare sia cambiamenti strutturali, come una progressiva fusione vertebrale, sia cambiamenti funzionali come la perdita di flessibilità della colonna e delle articolazioni adiacenti con una conseguente riduzione della qualità della vita [1]. Essendo spesso causa di disabilità a lungo termine, è di particolare interesse per la figura del fisioterapista conoscerne i segni e sintomi per poterla identificare in modo tempestivo e permettere al paziente di arrivare ad avere una diagnosi precoce che risulterebbe di fondamentale importanza. Questo aspetto viene specificato poichè spesso la diagnosi avviene molti anni dopo la comparsa dei primi sintomi.


Tipologia di pazienti

La Spondilite Anchilosante è una malattia autoimmune che colpisce principalmente gli individui di età compresa tra i 15 e i 45 anni, con una prevalenza maggiore nei maschi rispetto alle femmine (ratio 2:1). Circa l’80% dei pazienti sviluppa i primi sintomi prima dei 30 anni e solo il 5% oltre i 45 anni [1,2]. I sintomi insorgono gradualmente e durano almeno >3 mesi. Un’altra caratteristica di questa patologia è che il dolore peggiora con il riposo e migliora con il movimento. Infatti un’altra “key feature” è che il dolore e/o la rigidità sono peggiori nelle ore notturne e nelle prime ore al risveglio ed il paziente spesso può riferire come siano necessari minimo 30 minuti per notare un miglioramento della sintomatologia al mattino che corrisponde con un progressivo aumento delle attività. Il dolore può fluttuare e avere dei flare-up con picchi di dolore e altri periodi in cui i sintomi migliorano. [1,3]

 Alcuni fattori di rischio possono essere:

  1. la predisposizione genetica: esiste una forte correlazione con la presenza della molecola HLA-B27 agli esami del sangue;
  2. una storia di malattie infiammatorie croniche dell’intestino

Il tasso di prevalenza per tutte le spondiloartriti sieronegative varia da 0.5-1.9%, rendendole tra le patologie reumatologiche più diffuse. Nello specifico la Spondilite Anchilosante colpisce dallo 0.1 al 1.4% della popolazione [1,4]. Fin da subito è bene sottolineare una grande differenza con altre patologie reumatologiche ovvero l’assenza del fattore reumatoide negli esami del sangue. Da questa peculiarità ne deriva infatti il nome “sieronegative”.


Patofisiologia della Spondilite Anchilosante

La patogenesi della spondilite anchilosante non è completamente compresa, ma si pensa sia causata da una combinazione di fattori genetici e ambientali. Gli studi hanno dimostrato che l’espressione del gene HLA-B27 è associata alla malattia (90% pz con SpA manifesta la presenza del gene HLA-B27) ma che tuttavia non tutti i pazienti con spondilite anchilosante sono portatori del gene HLA-B27, il che suggerisce che altri fattori genetici e ambientali possano contribuire alla patogenesi della malattia. Inoltre è bene chiarire che solo il 2% di popolazione con gene HLA-B27 svilupperà un quadro di spondilite anchilosante, il che rende chiaro come la presenza di questo gene nel sangue non sia sufficiente a predire l’insorgenza di questa patologia (questa % sale però al 20% se il paziente ha un parente di primo grado con SpA + il paziente ha HLA-B27) [1,5]. L’infiammazione cronica associata alla patologia è quindi presumibilmente il risultato di una risposta immunitaria disfunzionale che porta alla produzione di citochine infiammatorie, come l’interleuchina-6 (IL-6), il fattore di necrosi tumorale-α (TNF-α) e l’interleuchina-17 (IL-17).


Diagnosi Differenziale

La diagnosi di spondilite anchilosante può essere complessa, poiché i sintomi possono somigliare a quelli di altre patologie. La diagnosi differenziale includerà dunque la sindrome di Reiter, la malattia infiammatoria cronica dell’intestino, l’artrite psoriasica e altre malattie infiammatorie croniche. La diagnosi deve essere fatta da un reumatologo esperto che utilizzerà una combinazione di anamnesi, esami di laboratorio e imaging per escludere altre patologie e confermare la diagnosi di Spondilite Anchilosante. [6] Oltre alle altre forme di spondiloartrite, la spondilite anchilosante dovrà essere messa in diagnosi differenziale con altre patologie muscoloscheletriche:


Elementi anamnestici

I sintomi che devono far sospettare un quadro di spondilite anchilosante includono:

  • dolore lombare ad insorgenza graduale e progressiva (dolore in zona lombare, sacroiliache, zona glutea);
  • dolore presente da più di 3 mesi (cronico/persistente);
  • rigidità e difficoltà di movimento;
  • età di insorgenza < 45 anni;
  • sintomi che migliorano con l’attività fisica ed il movimento e peggiorano con il riposo;
  • rigidità mattutina superiore ai 30 minuti;
  • possibile dolore nella seconda metà della notte.

I pazienti con spondilite anchilosante come detto in precedenza possono anche presentare sintomi “lontani” dalla colonna vertebrale e sintomi non-muscoloscheletrici. Altri possibili segni/sintomi associati sono infatti:

  • sintomi sistemici (es. perdita di peso/fatigue/febbricola intermittente);
  • chest pain (infiammazione delle articolazioni costo-vertebrali e costo-sternali);
  • entesiti (es. fascite plantare/achillea);
  • dattiliti;
  • anemia;
  • uveiti o altre patologie oculari (soprattutto uveite anteriore acuta);
  • infiammazione aortica;
  • fibrosi del sistema di conduzione cardiaco con conseguente arresto cardiaco;
  • movimento ridotto della gabbia toracica con conseguenti difficoltà respiratorie (restrictive lung disease): la mobilità della gabbia toracica è in stretto collegamento con la mobilità dello scheletro assiale e pertanto può essere un parametro importante da valutare;
  • elevate VES e PCR agli esami del sangue come indice di infiammazione;
  • fibrosi polmonare (soprattutto lobo superiore – 1% dei pz).

Si ricorda inoltre come i pazienti con una storia di malattie infiammatorie croniche dell’intestino o di altri disturbi autoimmuni sono a maggior rischio di sviluppare un quadro di Spondilite Anchilosante e sarà pertanto compito del professionista sanitario porre domande precise al paziente riguardo a questi specifici argomenti. [1,3]


Esame obiettivo e valutazione

Nella fase di anamnesi si è visto cosa può riferire il paziente o quali altre informazioni è possibile chiedere per essere più specifici.

Ecco cosa può essere utile ricercare invece nei test di laboratorio:

  • eventuale presenza di marker infiammatori: indagare se negli esami del sangue del paziente si riscontrano elevati valori di VES e PCR che indicano la presenza di uno stato infiammatorio generalizzato;
  • test genetico: valutare la presenza dell’antigene HLA-B27 nel sangue. [1,6,7]

Ecco cosa può essere utile ricercare negli esami mediante tecniche di imaging:

  • RX: alle radiografie di colonna e sacro si possono ricercare segni come lo squaring dei corpi vertebrali, la sclerosi dell’osso subcondrale, erosioni subcondrali, sindesmofiti (crescita di osso dove i legamenti si inseriscono nell’osso stesso) e un’ ossificazione a carico di legamenti, dischi ed articolazioni fino ad arrivare a fusione che provoca un’ampia perdita di movimento e il tipico segno della fase tardiva della patologia ovvero la forma della colonna a “canna di bambù” o “bamboo spine”.
  • in caso di RX normale, una risonanza magnetica della colonna può mostrare cambiamenti anche nella fase iniziale della patologia: ad esempio è possibile ricercare l’eventuale presenza di bone marrow edema a livello delle articolazioni sacroiliache e/o nei corpi vertebrali. [1,6,7]

All’esame obiettivo, quando si sospetta un quadro di Spondilite Anchilosante è possibile eseguire alcuni di test di mobilità della colonna:

  1. Test di Schober: si utilizza per valutare un’eventuale riduzione della mobilità lombare;
  2. Misurazione dell’inclinazione laterale di colonna;
  3. Misurazione della distanza trago-muro per la mobilità del rachide cervicale;
  4. Misurazione centimetrica dell’espansione della gabbia toracica.

Misure di outcome

Essendo una patologia con segni e sintomi molto variabili da paziente a paziente, non sono presenti misure di outcome complete e statisticamente “forti” che affrontino contemporaneamente ogni aspetto del quadro clinico; alcune delle più usate, anche se non tutte tradotte e validate in italiano, sono le seguenti: [8]

Nel 2009 l’Assessment of SpondyloArthritis International Society (ASAS) ha rivisto i precedenti criteri di New York redatti nel 1984 per aiutare le procedure diagnostiche. Per fare diagnosi di Spondilite Anchilosante è necessario che il paziente abbia <45 anni all’esordio dei sintomi e dolore presente da > 3 mesi; se il paziente rispetta questi due primi parametri, tenendo in considerazione le seguenti caratteristiche “classiche” della patologia (SpA features)…:

  • back pain infiammatorio;
  • artriti;
  • entesiti;
  • dattiliti;
  • uveiti;
  • psoriasi;
  • morbo di Chron/colite;
  • buona risposta ai fans;
  • storia familiare di SpA;
  • positività all’HLA-B27;
  • elevati valori PCR e VES.

È possibile effettuare una distinzione in:

  • Spondilite anchilosante con segni radiografici/tecniche di imaging (gruppo imaging): devono essere presenti segni in RMN o RX di Sacroileite + almeno 1 caratteristica di SpA (vedi sopra);
  • Spondilite anchilosante senza segni radiografici (gruppo clinico): deve essere presente l’antigene HLA-B27 + 2 segni/sintomi caratteristici di SpA (vedi sopra). [9]

Tuttavia nel corso degli anni si è visto come i due gruppi siano comunque parte dello spettro della stessa patologia e mostrano caratteristiche simili per quanto riguarda: la manifestazione clinica, l’impatto della patologia sul paziente, la presenza/sviluppo di comorbidità, i trattamenti ricevuti e le risposte agli stessi. Per questo, anche nelle linee guide EULAR, si parla in modo generico di Spondiloartrite. [7]


Trattamento

Il trattamento dei pazienti con spondilite anchilosante include trattamenti farmacologici e trattamenti non farmacologici. [6,7]

Trattamento farmacologico

È interessante anche per la figura del fisioterapista essere a conoscenza di questi aspetti ma si ricorda che la gestione farmacologica è esclusiva competenza medica.

  • FANS (ibuprofone o naproxone): aiutano con il dolore. Se dopo 2-4 settimane a massimo dosaggio i sintomi non migliorano si può provare a cambiare farmaco (a volte questo switch può migliorare sintomi).
  • Farmaci steroidei: durante i flare-up per via orale, intramuscolo o iniezione direttamente nell’ articolazione dolente.
  • Farmaci inibitori del TNF (tumor necrosis factor) es. etanerecept o anticorpi monoclonali anti TNF es. infliximab, adalimumab, certolizumab utili nel modulare l’attività della patologia.
  • Farmaci inibitori dell’interleukina (IL-17i): seukinumab (frutto di un più recente filone di ricerca con risultati soddisfacenti).
  • Farmaci inibitori della Janus kinasi (JAKi). [6,7]

Trattamento non farmacologico

Educazione: è importante informare il paziente riguardo alla sua condizione e alle modalità di trattamento poichè per raggiungere una maggiore qualità della vita è fondamentale che il paziente aderisca ad un piano di trattamento con costanza essendo che gli obiettivi saranno a lungo termine; aumentare la compliance sarà dunque un aspetto fondamentale nella gestione del paziente.

Attività fisica

  • esercizio terapeutico volto a migliorare le capacità aerobiche del paziente e la condizione di salute generale;
  • esercizio terapeutico unito ad esercizi di stretching per aumentare/mantenere la mobilità della colonna o delle altre articolazioni periferiche;
  • esercizi di fisioterapia respiratoria per aumentare l’espansione della gabbia toracica e mantenere tono/trofismo dei muscoli respiratori.

Modifica dello stile di vita: evitare di fumare.

Trattare altre complicanze eventuali se sono sopraggiunte.

La chirurgia può essere presa in considerazione come una soluzione terapeutica solo in casi isolati ad esempio quando sono presenti deformità particolari. [6,7]


Prognosi

Come accennato in precedenza riguardo all’utilizzo delle misure di outcome, il quadro di Spondilite Anchilosante è molto eterogeneo nelle sue varie sfaccettature e pertanto altrettanto eterogenea può essere la prognosi di questi pazienti che può essere paragonata ad uno spettro che conduce da una situazione di minima disabilità ad una situazione di disabilità massima. Arrivare ad una diagnosi precoce è sicuramente un aspetto fondamentale per rallentare la progressione della patologia, che può essere presente ma impattare in misura minore nella disabilità del paziente e di conseguenza nella sua qualità della vita. Forme più gravi o gestite nel modo scorretto possono invece portare a grave disabilità e scarsa qualità di vita. Si deduce anche l’importanza di un trattamento e di una gestione basata e cucita sulle caratteristiche del singolo paziente affinchè questa produca gli effetti desiderati. La speranza è che la ricerca continui a fare passi avanti e che i professionisti sanitari siano sempre più preparati per conoscere la patologia e gestire secondo le linee guida le varie traiettorie cliniche che può prendere il paziente. [7,8]