Tendinopatia calcifica di spalla

Ecco una guida per il fisioterapista su valutazione e gestione della Tendinopatia calcifica di spalla.

Il termine tendinite calcifica fu probabilmente coniato da Plenk nel 19521. Diversi nomi (tendinite calcificante, periartrite calcifica, tendinite calcarea ecc.) sono stati da quel momento in poi utilizzati per l’identificazione di questo quadro patologico, tanto da creare una certa confusione e sovrapposizione tra questo e altri disordini muscoloscheletrici al livello della spalla. Ad oggi, il termine maggiormente utilizzato con cui si identifica tale patologia è tendinopatia calcifica (acronimo CT, ovvero calcific tendinopathy).

Tale patologia viene maggiormente osservata al livello della spalla, ma è molto diffusa in tutti i distretti del corpo2.  La tendinopatia calcifica di spalla fa parte dell’ampia categoria dei disturbi della cuffia dei rotatori e viene generalmente diagnostica attraverso l’uso dell’imaging, in particolare attraverso l’uso dell’RX per evidenziare la presenza delle calcificazioni caodiuvata dalla risonanza magnetica per valutare altre patologie coesistenti3.

Sebbene tale tipo di tendinopatia tenda a risolversi spontaneamente in alcuni pazienti, in altri determina una persistenza di dolore tale da limitare le attività funzionali e creare assenteismo lavorativo, pertanto, per il fisioterapista è necessario capire quali siano i principi diagnostici e riabilitativi. Al livello di trattamento non è chiaro quale sia la best choice, ma l’approccio conservativo rimane quello privilegiato, mentre la chirurgia è suggerita solo nei casi in cui questo fallisca4.

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Cos’è una tendinopatia calcifica?

La tendinopatia calcifica di spalla è una condizione dolorosa comune caratterizzata dalla presenza di depositi di calcio al livello della cuffia dei rotatori4. Tali calcificazioni vanno a formarsi sulla porzione intermedia o sull’inserzione dei tendini della cuffia, così come nel tessuto sinoviale, inclusa la borsa subacromiale.

Diversi ricercatori sono giunti alla conclusione che la tendinopatia calcifica del sovraspinato è la più frequente e si pone generalmente a 1-2 cm di distanza dalla grande tuberosità della testa dell’omero. Le calcificazioni sono presenti in maniera ridotta nell’infraspinato, mentre sono rare nel sottoscapolare e nel piccolo rotondo1,5. I depositi di calcio sono dei cristalli o delle forme amorfe di idrossiapatite che si depositano in questa zona6.

tendinopatia calcifica di spalla: RX
Presenza di calcificazioni a livello inserzionale del sovraspinato a sinistra, RX di una spalla sana a destra.

L’ipotesi sull’origine della tendinite calcifica è ad oggi controversa. Ne sono state sviluppate diverse relative alla patogenesi, la quale può essere degenerativa o derivante da traumi ripetuti, necrosi dei tenociti e ossificazione endocondrale, ma nessuna di queste è stata sufficientemente soddisfacente7,8,9.

Così come secondo il modello del continuum già proposto da Cook et al.10, la tendinopatia calcifica di spalla sembra essere probabilmente causata da un fallimento del processo di guarigione cellulare in cui le cellule staminali tendinee (tendon stem cells, di seguito TSCs) giocherebbero un ruolo fondamentale determinando un’anomala differenziazione dei tenociti quando sottoposti a sovraccarichi meccanici11.

In circostanze normali, infatti, le TSCs sono in grado di differenziarsi in tenociti nuovi che permettono la riparazione e l’adattamento della struttura tendinea ai carichi. Invece, in presenza di condizioni di sovraccarico locale, come ad esempio un eccessivo carico meccanico o l’accumulo di microlesioni, allora le TSCs possono differenziare in condrociti o osteoblasti al posto di rimanere tenociti. La diretta conseguenza di quest’anomalia di differenziazione determina l’inizio del processo di condrometaplasia e ossificazione e quindi la formazione di depositi calcifici all’interno della struttura tendinea. Questa teoria sembra essere quella decisiva al livello istopatogenetico12,13.

La tendinopatia calcifica della cuffia dei rotatori sembra inoltre essere correlata ad alterazioni dei geni ANK e TNAP che favoriscono la deposizione di cristalli di calcio14. La genesi della tendinite calcifica, seppur non completamente definita in tutti i suoi aspetti, ha assunto un carattere multifattoriale composto da una combinazione tra fattori di rischio interni, ambientali e genetici.

La letteratura è generalmente d’accordo sull’individuare tre differenti fasi di evoluzione di questa patologia: precalcifico, calcifico e post calcifico. Il primo stadio consiste in una metaplasia fibrocartilaginea causata da una alterazione delle condizioni meccaniche e metaboliche del tendine. Lo stadio calcifico è invece caratterizzato da tre sottofasi: fase di formazione, fase di risposo e fase di riassorbimento.

Durante la prima sottofase, il calcio viene secreto dalle cellule e si deposita (fase di formazione). In questo momento, però, il calcio che si deposita non si è ancora mineralizzato, pertanto non è ancora allo stato solido (fase di riposo). A questo punto ha inizio il vero e proprio processo di calcificazione; questa fase è chiamata di riassorbimento ed è la fase più dolorosa, che corrisponde alla vera e propria tendinite calcifica della spalla. Infine, il ciclo termina con la fase post-calcifica, in cui il calcio solidificato sparisce e il paziente non sente più dolore15,16.

La scarsa vascolarizzazione tendinea sembra essere la causa principale del fallimento del processo riparativo del tendine16. Il dolore, che spesso non è accompagnato da una restrizione della mobilità, sembrerebbe ascrivibile alla fase di riassorbimento (o fase acuta della patologia), in cui il tendine presenta un primo starter infiammatorio nel tentativo attivare una risposta immunitaria per rimuovere i depositi di calcio.

La grandezza dei depositi di calcio (> di 1,5 cm), la loro localizzazione (sovraspinato) e la loro frammentazione (visibile attraverso ecografia) sembrano essere fattori direttamente correlati con il dolore17,18,19. I sintomi potrebbero essere anche associati a spasmi muscolari, infiammazione della borsa sub-acromiale, tendinopatia del capo lungo del bicipite, capsulite adesiva secondaria e lesione massiva della cuffia dei rotatori20.


Tendinite calcifica della spalla: diagnosi

A livello epidemiologico, la tendinopatia calcifica della spalla, secondo studi di prevalenza che si sono occupati di tale quadro patologico, è presente tra il 2,7 e il 10,3% della popolazione generale, ma solo il 50% delle persone che ne sono affette sviluppa la sintomatologia21.

Nell’inquadramento diagnostico della tendinite calcifica di spalla è necessario partire dai fattori di rischio. I fattori di rischio interni sono il sesso femminile (le donne vengono colpite due volte di più degli uomini), l’età compresa tra i 30 e i 60 anni e l’essere affetti da patologia diabetica o tiroidea22,23,24.

I fattori di rischio esterni sono invece attività occupazionali che obbligano il lavoratore a tenere per tanto tempo le braccia in rotazione interna e leggera abduzione (lavoratori al pc, cassieri, sarti, lavori ripetitivi in catena di montaggio)25. Tale posizione prolungata sembrerebbe pertanto favorire la calcificazione tendinea della spalla.

La presentazione clinica e sintomatologica di questa patologia è estremamente variabile e dipende dalla fase in cui il paziente si trova. Durante la fase acuta, che corrisponde al “riassorbimento”, il paziente generalmente si presenta con un dolore severo che potrebbe durare da 3 settimane a 6 mesi. I sintomi durante la fase acuta possono essere severi e si localizzano generalmente sopra la spalla, con rigidità lungo tutta l’inserzione del sovraspinato.

La buona notizia sta nel fatto che, però, maggiore è il dolore minore sarà la durata della patologia. A volte, il dolore può estendersi fino alla radice del collo con difficoltà durante i movimenti overhead associati a spasmi muscolari. Data l’elevata reattività, in questi casi è veramente difficile svolgere qualsiasi test speciale3,4.

A livello diagnostico, la radiografia fu il primo strumento utilizzato per identificare una tendinopatia calcifica e ad oggi è ancora il principale strumento diagnostico utilizzato nello studio della spalla dolorosa. Le proiezioni radiografiche dovrebbero essere antero-posteriore (neutre, in rotazione interna, in rotazione esterna) e quelle dedicate allo studio del profilo del sovraspinato. Esiste un segno radiologico che prende il nome di Skullcap appereance, il quale indica la presenza di rottura del deposito all’interno della borsa26. La Tomografia Computerizzata (TC) non è generalmente prescritta come esame diagnostico per questo tipo di disturbo.

Per l’identificazione della presenza e della localizzazione delle calcificazioni, anche se molto piccole, l’uso dell’ecografia si è dimostrato un valido strumento diagnostico con un’accuratezza quasi pari a quello della risonanza magnetica27,28. L’uso dell’ecografia è anche utile per svolgere una valutazione dinamica della spalla e per differenziare l’eventuale compresenza di una tendinopatia del capo lungo del bicipite o di una borsite sub-acromiale29.

La risonanza magnetica non è ad oggi raccomandata come un tool essenziale nella diagnosi della tendinopatia calcifica, ma risulta essere un ottimo strumento soprattutto nei casi di cronicizzazione in cui ci sia necessità di differenziare la compresenza di altre patologie specifiche di spalla3,30.

Sebbene una parte della letteratura sia d’accordo nell’usare l’imaging per svolgere una diagnosi accurata, bisogna considerare però la prospettiva secondo la quale, in realtà, la tendinopatia calcifica di spalla per presentazione clinica non è differenziabile da altri sovrapponibili quadri clinici31. La larga percentuale di soggetti asintomatici anche in presenza di depositi di calcio (più o meno grandi e più o meno frammentati) non giustifica l’imaging come mezzo attraverso il quale dirimere le incertezze diagnostiche. I test diagnostici speciali o ortopedici, oltre a non essere utilizzabili in condizioni di alta reattività, non ci permettono di capire ciò che realmente accade nella spalla durante queste procedure riabilitative, e non ci permettono di fare diagnosi soprattutto se usati singolarmente32,33,34,35,36

Ben più plausibile è invece affermare che un ruolo determinante all’interno del processo diagnostico lo abbia l’anamnesi37. L’etichetta diagnostica di “tendinopatia calcifica” è nociva per il paziente e determina peggiori outcome nel trattamento dal momento che fa focalizzare il soggetto su una deformità strutturale irrecuperabile38,39,40. Risulta invece essere molto più efficace in termini di inquadramento diagnostico e riabilitativo avere un approccio basato sulla differenziazione tra red flags, patologie specifiche di spalla (quali ad esempio fratture, dislocazioni, lesioni massive della cuffia dei rotatori etc.) e quadri di dolore aspecifico di spalla.


Trattamento della tendinopatia calcifica della cuffia dei rotatori

Il trattamento conservativo della tendinite calcifica della spalla è quello maggiormente consigliato3,16,29,41. Questo include l’uso di farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) soprattutto nella fase acuta della patologia, affiancato da un trattamento fisioterapico appropriato mirato alla prevenzione della rigidità articolare. Secondo gli ultimi ritrovati sull’argomento ,sembra che l’utilizzo delle onde d’urto (extracorporeal shock wave therapy-ESWT) sia consigliabile così come l’utilizzo della procedura del needling guidato da ecografia (ultrasound guided needling-UGN)29.

La rimozione chirurgica dei depositi di calcio, in modalità a cielo aperto o artroscopica, è generalmente considerata solo ed esclusivamente in caso di fallimento del trattamento conservativo. Il fallimento del trattamento riabilitativo conservativo è ascrivibile ad alcuni fattori prognostici negativi quali presenza di calcificazioni bilaterali, localizzazione della calcificazione vicina al tetto acromiale e un grande volume della calcificazione. Fattori prognostici positivi sono invece la presenza di depositi calcifici Gartner Type III. Complessivamente, però, il trattamento conservativo sembra mostrare effetti tra il buono e l’eccellente nel 72% dei casi.

Andando ad analizzare le singole modalità di intervento è possibile evidenziare che, nella fase acuta della patologia, la riduzione del dolore è l’obiettivo primario raggiungibile attraverso i FANS.

Il focus su cui si deve basare il trattamento fisioterapico di questo disturbo aspecifico di spalla è basato sulla combinazione di educazione del paziente alla patologia (consigli ergonomici, gestione del carico, informazioni sull’evoluzione della patologia etc.), desensibilizzazione relativamente al dolore (soprattutto in fase acuta), dove possibile attraverso l’utilizzo delle manovre di modifica del sintomo oppure, in caso di elevata reattività, attraverso la mobilizzazione articolare, l’esercizio terapeutico ed il trattamento dei tessuti molli, oltre che una graduale esposizione ai carichi sia dal punto di vista dell’esercizio sia dal punto di vista delle attività quotidiane e lavorative3,16,29,31,41,42,43

Per quanto riguarda l’utilizzo delle onde d’urto o ESWT, relativamente al trattamento della tendinopatia calcifica del sovraspinato o di una qualsiasi tendinopatia calcifica della spalla, diversi studi ne hanno dimostrato l’efficacia su dolore, range di movimento e stato funzionale, ma la durata, l’intervallo di somministrazione e la dose/intensità sono ancora oggetto di discussione44.  

L’UGN, ovvero il needling guidato dall’ecografia, è una tecnica minimamente invasiva di largo utilizzo negli ultimi anni per il trattamento delle tendinopatie calcifiche della cuffia dei rotatori. Tale metodica ha mostrato un tasso di successo in questa patologia pari al 73% correlato inoltre con una riduzione della grandezza della calcificazione. Tale tecnica prevede una combinazione di infiltrazione anestetica, assorbimento del deposito calcifico guidato dall’ecografia e inflitrazione di corticosteroidi alla fine del trattamento. Purtroppo, però, ancora non si conoscono gli effetti a lungo termine di tale procedura e la qualità delle evidenze ad oggi disponibile sull’argomento è scarsa45,46.

Il trattamento chirurgico è riservato ai pazienti che non rispondono al trattamento conservativo entro i 6 mesi. Al momento, viene comunque preferita la procedura artroscopica per il minor tasso di comorbidità ad essa correlato e per risultati sovrapponibili a quelli a cielo aperto. Relativamente alla procedura chirurgica, ci sono ancora diverse aree grigie relative alla quantità di calcificazioni che devono essere asportate, alla necessità o meno di suturare il tendine lesionato a seguito dell’intervento e, infine, al bisogno di svolgere o meno una decompressione sub-acromiale o un’acromion-plastica47,48.


Conclusioni

La tendinopatia calcifica di spalla è una condizione dolorosa comune caratterizzata dalla presenza di depositi di calcio al livello della cuffia dei rotatori4. La sua diffusione (tra il 2,7 e il 10,3% della popolazione generale) e l’impatto funzionale che determina sul paziente fanno sì che il fisioterapista debba necessariamente approfondire questo quadro clinico.

Il processo diagnostico di questo tipo di disordine muscoloscheletrico, consapevole dei dati epidemiologici, deve basarsi innanzitutto su un’attenta valutazione dei fattori di rischio interni ed esterni. Sempre attraverso un’attenta indagine anamnestica, il fisioterapista deve escludere patologie gravi (attraverso l’identificazione di eventuali red flags) e patologie specifiche di spalla che meritano un referral ad altro specialista. Solo a quel punto, il disturbo può essere classificato come aspecifico, categoria all’interno della quale rientra anche la tendinopatia calcifica di spalla31.

Il trattamento conservativo della tendinite calcifica della spalla è quello maggiormente consigliato3,16,29,41. Questi include l’uso di farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) soprattutto nella fase acuta della patologia, affiancato da un trattamento fisioterapico basato sui principi di educazione del paziente alla patologia e alla gestione della stessa (evitando i possibili effetti nocebo dell’etichetta diagnostica “calcifica”), riduzione del dolore ed esposizione a carichi graduali.

Secondo gli ultimi ritrovati sull’argomento sembra che l’utilizzo delle onde d’urto (extracorporeal shock wave therapy-ESWT) sia consigliabile così come l’utilizzo della procedura del needling guidato da ecografia (ultrasound guided needling-UGN)29. Tali terapie possono essere anche combinate per ottenere un effetto anche maggiore rispetto ad utilizzarle singolarmente.

Il trattamento chirurgico è invece riservato ai pazienti che non rispondono al trattamento conservativo entro i 6 mesi ma al momento viene comunque preferita la procedura artroscopica48.

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