Osteonecrosi della testa del femore

Ecco una guida per il fisioterapista sulla osteonecrosi della testa del femore.

osteonecrosi della testa del femore

L’osteonecrosi della testa del femore, conosciuta anche con i nomi di necrosi avascolare o necrosi asettica, è una condizione clinica progressiva e disabilitante che porta ad apoptosi ossea causando potenzialmente il collasso della testa del femore e un’osteoartrosi secondaria dell’anca[1]. L’osteonecrosi può coinvolgere anche altre regioni anatomiche come il ginocchio, la caviglia o la spalla, ma di particolare interesse clinico risulta essere a livello della testa del femore in quanto ne rappresenta il 75% dei casi.

È da sottolineare come i casi di Osteonecrosi della testa del femore siano in costante aumento e sebbene non ci siano report epidemiologici su scala globale, diverse nazioni ne stanno studiando incidenza e prevalenza. Ogni anno negli Stati Uniti (USA) vengono diagnosticati tra i 20.000 e i 30.000 nuovi casi di osteonecrosi della testa del femore[2], in Cina vengono riconosciuti 8,12 milioni di casi di ostenoecrosi non traumatica[3] mentre nel Regno Unito è il terzo motivo più comune di intervento di protesi totale dell’anca nei pazienti di età inferiore a 50 anni[4].

A partenza da questi dati si evince come sia fondamentale per la figura del fisioterapista conoscere i segni e sintomi distintivi dell’osteonecrosi della testa del femore per riuscire ad intercettare le potenziali red flags che possono manifestarsi nei pazienti con dolore all’anca che dovrebbero insospettire il clinico e farlo optare per un referral medico specialistico.


Tipologia di pazienti

L’Osteonecrosi della testa del femore colpisce tipicamente persone giovani tra i 20 e i 40 anni, con un’età di presentazione media di 38 anni; segue spesso un decorso progressivo che porta a dolore severo e ad una sostanziale perdita di funzionalità: unendo queste prime informazioni appare chiaro come l’Osteonecrosi della testa del femore possa minare la produttività delle persone con questa diagnosi diventando una problematica rilevante anche dal punto di vista socio-economico[5, 6].

Nel tentativo di profilare il paziente con Osteonecrosi della testa del femore, l’età rappresenta un fattore molto importante da considerare in quanto è mediamente più bassa rispetto a quella del paziente che si presenta in clinica con diagnosi di osteoartrosi dell’anca.


Patofisiologia

Benchè sia una patologia conosciuta e molto studiata dal mondo scientifico per i motivi sopra citati, la patofisiologia dell’osteonecrosi della testa del femore non è ancora completamente nota.

La maggior parte delle teorie tuttavia puntano verso un’alterazione del flusso sanguigno intravascolare come potenziale meccanismo di inizio dell’Osteonecrosi.

Una delle ipotesi sostiene come non sia una vera e propria patologia ma piuttosto il risultato della combinazione di più situazioni cliniche che culminano con un impairment del flusso sanguigno nella testa del femore; essenzialmente è rappresentata dalla morte delle cellule ossee nella regione della testa femorale dovuta alla compromissione della micro-circolazione in quella zona[7].

Facendo un focus sulla vascolarizzazione dell’anca, sempre tenendo a mente le consuete possibilità di varianti anatomiche, la maggior parte del sangue che raggiunge l’epifisi femorale proviene dai rami delle arterie circonflesse mediale e laterale, con la prima assoluta protagonista. Le arterie circonflesse del femore, che si formano a partire dall’arteria profonda del femore (che a sua volta è un ramo dell’arteria femorale), danno origine ad una rete anastomotica di vasi, in particolare le arterie retinacolari (sottosinoviali) e le arterie epifisarie laterali, che penetrano il periostio e la sinovia arrivando ad alimentare la porzione supero-laterale della testa del femore[8]. Un’altra struttura vascolare rilevante in questa regione è l’anastomosi crociata che include rami delle arterie circonflesse uniti a rami dell’arteria glutea inferiore e a rami della prima arteria perforante del femore: questa anastomosi svolge un ruolo non trascurabile nell’irrorazione collaterale della porzione prossimale del femore. Nonostante questa rete anastomotica, quando ad essere colpìti sono questi vasi, ed in particolare i rami provenienti dall’arteria circonflessa mediale (che assume un ruolo dominante in quanto l’arteria circonflessa laterale benchè partecipi alle anastomosi appena citate è maggiormente coinvolta nella vascolarizzazione della capsula articolare e dei muscoli immediatamente circostanti), l’irrorazione della testa del femore risulterà inevitabilmente deficitaria e/o compromessa[8].

L’interruzione dell’afflusso di sangue alla testa del femore può portare a ischemia e successiva necrosi e se il ripristino dell’afflusso di sangue non avviene tempestivamente, porterà alla morte progressiva degli osteociti seguita dal collasso della superficie articolare e infine ad un’artrosi degenerativa.

Queste alterazioni vascolari possono verificarsi sia per cause traumatiche sia per cause non traumatiche come conseguenza di alcuni fattori di rischio ormai ben accettati dalla comunità scientifica[3].

Tra le cause traumatiche si possono citare traumi fisici come ad esempio gli esiti di:

  • frattura del collo del femore;
  • fratture acetabolari;
  • lussazioni dell’anca;
  • importanti contusioni articolari senza frattura ma con presenza di ematoma intra articolare;
  • traumi da decompressione (barotraumi);
  • traumi da esposizione a radiazioni (es. radioterapia).

Tra queste le più comuni sono la frattura del collo del femore (ed in particolare le fratture sottocapitate) e la lussazione della testa del femore dall’acetabolo. Analizzando i dati epidemiologici a tale proposito, l’osteonecrosi della testa del femore può essere una conseguenza nel 15%-50% delle fratture del collo del femore e nel 10%-25% delle lussazioni dell’anca; quando si verificano questi tipi di traumi, se il circolo anastomotico arterioso che raggiunge l’epifisi femorale non riesce a garantire una sufficiente irrorazione residua, l’afflusso di sangue alla testa del femore risulterà compromesso portando più o meno velocemente alla necrosi avascolare.

In particolare sembra che l’incidenza complessiva di necrosi avascolare nei pazienti con fratture scomposte del collo del femore arrivi al 17,3% (Ghayoumi P., 2015) e che le fratture scomposte siano associate ad un’incidenza statisticamente maggiore di osteonecrosi rispetto alle fratture non scomposte (14,7% contro 6,4%)(Slobogean G.P., 2015)[5].

Benchè l’intervento chirurgico spesso ristabilisca la perfusione sanguigna, da alcuni studi è emerso come l’utilizzo di impianti di grandi dimensioni nelle procedure di fissazione della frattura del collo del femore (es. dynamic hip screw) sia associato ad un’interruzione o diminuzione dell’afflusso sanguigno diretto alla testa del femore[5]. Altre potenziali complicanze correlate al trattamento chirurgico delle fratture dell’epifisi femorale comprendono i casi di consolidamento ritardato, pseudoartrosi, infezione e disallineamento[5].

Nei casi non traumatici vengono prese in considerazione principalmente due teorie: la prima riguarda l’insorgenza di una coagulazione intravascolare mentre la seconda attribuisce l’ischemia alla compressione extravascolare. Sono riconosciuti più fattori di rischio che possono portare ad un quadro clinico di osteonecrosi della testa del femore, tra questi sicuramente troviamo  l’abuso di corticosteroidi, abuso di alcolici, storia di fumo, discrasia sanguigna e fattori di rischio “misti” che includono una predisposizione genetica e la presenza di altre patologie concomitanti[9].                                             

L’uso cronico di steroidi e il consumo eccessivo di alcol rappresentano la maggior parte delle eziologie non traumatiche, contribuendo a oltre l’80% di esse. L’osteonecrosi associata al consumo di steroidi rappresenta la seconda causa più comune di osteonecrosi in generale, dopo il trauma. Nonostante le prove che dimostrino la correlazione tra uso di steroidi e osteonecrosi, l’esatta patofisiologia dello specifico caso non è ancora chiara ma con ogni probabilità è multifattoriale: questo insieme di fattori potrebbe essere rappresentato da una presenza di emboli grassi e da un’ipertrofia delle cellule adipose con conseguente aumento della pressione intraossea, disfunzione endoteliale, iperlipidemia e anomalie del pool di cellule staminali del midollo osseo; tutti questi fattori possono contribuire all’ischemia e alla successiva necrosi delle cellule ossee poichè a causa dell’aumento della pressione all’interno delle cellule ossee, le cellule endoteliali vascolari vengono danneggiate causando coagulopatia locale, trombosi vascolare e ischemia.

Allo stesso modo, anche l’osteonecrosi indotta dall’abuso di alcol non è ben compresa, ma con ogni probabilità anch’essa ha radici multifattoriali in quanto un intake eccessivo di alcolici potrebbe essere causa di ipertrofia e proliferazione delle cellule adipose del midollo osseo, di cambiamenti del livello dei lipidi sierici, di un aumento della pressione intraossea nonché di occlusione dei vasi sanguigni che irrorano l’epifisi femorale portando ad una inevitabile mancanza di perfusione[9].


Diagnosi differenziale

La diagnosi e il referral precoci sono essenziali poiché la degradazione ossea avviene normalmente entro due anni dall’esordio della malattia, rendendo impossibili gli eventuali interventi per preservare l’articolazione. Un’identificazione precoce della necrosi avascolare dà al team multidisciplinare il tempo necessario per modificare eventuali trattamenti farmacologici o stili di vita che potrebbero aver causato l’insorgenza del disturbo e provare a limitarlo.

Fatta questa doverosa premessa, le entità cliniche che dovrebbero essere incluse nella diagnosi differenziale dell’osteonecrosi della testa del femore sono[3]:

  • artrosi dell’anca: soprattutto nelle fasi medie e tardive dell’osteoartrosi d’anca può essere difficile distinguere i sintomi clinici;
  • osteoartrosi secondaria a displasia acetabolare: tendenzialmente più facile da differenziare rispetto al precedente quadro in quanto alla radiografia si vedrà l’incompleta copertura dell’acetabolo sulla testa del femore ed una rima articolare fortemente ridotta o addirittura assente unite ad una degenerazione corrispondente per aree sia nell’acetabolo sia nella testa del femore;
  • spondilite anchilosante con coinvolgimento dell’anca: è importante ricercare i segni e sintomi tipici della spondilite anchilosante in quanto solitamente non è presente unicamente dolore ad una singola articolazione periferica. Alla radiografia si può ricercare eventuali segni di fusione articolare che renderebbero ancora più facile la differenziazione;
  • edema osseo articolare;
  • condroblastoma della testa del femore;
  • frattura incompleta dell’osso subcondrale: si può incontrare in pazienti con più di 60 anni che non riportano chiari episodi di trauma ma che allo stesso tempo riportano insorgenza di dolore improvviso all’anca, riduzione del rom articolare e della funzionalità in particolare nel cammino;
  • frattura da stress: la popolazione di pazienti colpita potrebbe essere simile per età ma cambiano solitamente i fattori di rischio e la partecipazione;
  • sinovite villonodulare pigmentata;
  • ernia/plica sinoviale: eccessiva crescita di tessuto sinoviale che può invadere territori limitrofi, spesso è tuttavia asintomatica;
  • sindrome da conflitto femoro-acetabolare;
  • infarto osseo della metafisi.

Elementi anamnestici

Un primo dato da raccogliere in fase anamnestica, importante ma non dirimente, è il dolore all’anca che permane da più di 6 settimane; il dolore è tipicamente localizzato a livello inguinale, nella natica o nella porzione prossimo-laterale della coscia che talvolta può irradiare fino al ginocchio e che si aggrava con il carico o con il movimento[3, 4].

Non rappresenta un dato dirimente per fare diagnosi di Osteonecrosi della testa del femore in primis perchè nelle fasi precoci della patologia il paziente può essere asintomatico ed in secondo luogo perché il dolore sopra descritto può essere presente anche in altre patologie del distretto dell’anca. Avendo ben chiari i fattori di rischio sarà quindi importante in fase anamnestica porre al paziente domande mirate che vadano ad esaudire la necessità clinica del fisioterapista di profilare il paziente e di aumentare o ridurre il “level of concern” per un eventuale referral.

Il paziente può riportare una storia di traumi o di lussazioni all’anca, anche se spesso sono assenti; si continuerà la ricerca di “red flags” chiedendo se il paziente ha già una storia positiva di osteonecrosi della testa del femore (è una patologia spesso bilaterale ed il rischio che lo diventi è molto alto entro 2 anni dall’esordio dei primi sintomi unilaterali), se ha una storia familiare positiva per osteonecrosi della testa del femore, se fa abuso di sostanze alcoliche, se è stato sottoposto a prolungati trattamenti con farmaci steroidei (corticosteroidi) o a terapia immunologica, chemioterapia o radioterapia; è importante indagare inoltre l’eventuale presenza di coagulopatie, HIV e relativo trattamento con antivirali o nelle pazienti donne una gravidanza recente[4].


Esame obiettivo e valutazione

La presentazione clinica, soprattutto nelle fasi iniziali della patologia, è abbastanza aspecifica e per questo va rimarcata con forza l’importanza di un’ottima anamnesi e stratificazione del rischio.

Un buon esame obiettivo tuttavia può aiutare a dirimere i dubbi quantomeno riguardo alle strutture anatomiche che producono i sintomi.

Il dolore inguinale può essere causato da varie strutture siano esse direttamente correlate all’anca o meno (hip or non-hip areas), e se è vero che la diagnosi è di pertinenza medica e necessita di una risonanza magnetica per essere confermata, l’esame obiettivo fisioterapico può essere utile per includere/escludere determinati quadri clinici.

È possibile procedere con l’esame obiettivo richiedendo dei movimenti attivi ripetuti con il rachide lombare ricercando la comparsa dei sintomi familiari nella regione inguinale; sempre con l’idea di differenziare le strutture anatomiche coinvolte è possibile mediante la palpazione stressare più la componente articolare lombare (springing, compressioni, trazione) e sacroiliaca (batteria di laslett) con lo scopo di aumentare le probabilità, se negativi, che il problema sia realmente a carico dell’articolazione dell’anca. A quel punto, ragionando su tutti i dati raccolti fino a quel momento, ai test di mobilità attiva e passiva dell’anca ci si aspetta di trovare una riduzione della rotazione interna d’anca, che può essere valutata sia in posizione seduta, supina o prona: questo dato può aiutare il clinico a differenziare il dolore all’anca con un dolore riferito all’anca da altre strutture come il rachide lombare o il ginocchio.


Misure di Outcome

Le misure di outcome nei casi Osteonecrosi della testa del femore si dividono in 3 macrogruppi:

  • questionari di valutazione;
  • imaging;
  • misurazioni cliniche di forza, mobilità funzionalità.

Per quanto riguarda i questionari di valutazione, al momento non esistono questionari validati unicamente per l’osteonecrosi della testa del femore e pertanto si utilizzano i questionari che valutano il dolore e la disabilità in pazienti con patologie d’anca generiche come[10]:

Una valutazione strumentale pre-post può essere un buon indicatore di progressione o regressione della patologia. Le indagini strumentali più usate sono:

  • radiografie: solitamente si utilizza una visione antero-posteriore classica e una laterale con il paziente in “frog-leg position” ovvero con il ginocchio flesso a 30-40° e l’anca extraruotata di 45°. Le manifestazioni radiografiche che si ricercano sono tipicamente una sclerosi ossea e la presenza di aree cistiche ovvero zone di radiotrasparenza nell’osso. Un altro segno importante può essere il “crescent sign” ovvero una linea radiolucente che segue solitamente il contorno della testa femorale subito al di sotto della superficie articolare: è indicativo di una possibile infrazione nell’osso subcondrale e solitamente è il preludio al collasso della testa del femore. Negli stadi più avanzati si ha perdita di sfericità della testa del femore e artrite degenerativa ben visibili.
  • risonanza magnetica:  si ricerca una bassa intensità di segnale subcondrale, tendenzialmente limitata, a forma lineare nelle immagini pesate in T1 o il “double-line sign” nelle immagini pesate T2;
  • tomografia computerizzata: solitamente rivela zone di osteosclerosi che circondano l’osso o mostra una frattura dell’osso subcondrale[3].

La valutazione clinica consente poi di misurare:

  • mobilità: test articolari con goniometro;
  • forza: test con dinamometro o con resistenza manuale (scala MRC);
  • funzionalità: test che valutano il cammino (es. 6 Minute Walking Test) o test di mobilità dinamica ed equilibrio come il Time up and go test (TUG). 

Per quanto riguarda la stadiazione della patologia, in letteratura sono presenti numerosi sistemi di classificazione (sono descritte più di 16 tipologie diverse): questi sistemi dovrebbero essere utili principalmente a livello prognostico e per orientare le scelte terapeutiche oltre che per uniformare la comunicazione tra professionisti sanitari: sicuramente la grande eterogeneità e varietà di sistemi di classificazione per l’osteonecrosi della testa del femore non favorisce questo intento ma anzi rischia di generare confusione sia in letteratura sia in clinica[5].

Di seguito viene presentato il sistema di classificazione ARCO, sviluppato dall’Association Research Circulation Osseus nel 1991 e revisionato nel 2019, consigliato da numerosi autori[3]:

  • Stadio ARCO 1: radiografie (RX) normali , risonanza magnetica (RM) anormale; alla risonanza magnetica è visibile una lesione “a banda” di bassa intensità di segnale attorno all’area necrotica.

    Alla scintigrafia ossea è apprezzabile un “cold spot”, ovvero una zona in cui la captazione del tracciante radioattivo appare ridotta rispetto ai tessuti circostanti che sta a significare un’area di ridotta attività metabolica o di perfusione.

    Nessun cambiamento è visibile nelle radiografie standard.
  • Stadio ARCO 2: RX anormali, RM anormale; osteosclerosi, osteoporosi focale o alterazioni cistiche sono visibili nella testa del femore sia alle radiografie standard sia alla risonanza magnetica/tomografia computerizzata (TC).

    Ancora non vi è evidenza di frattura subcondrale, frattura della porzione necrotica o appiattimento della testa del femore.
  • Stadio ARCO 3: RX e/o CT anormali; la frattura subcondrale, la frattura della porzione necrotica e/o l’appiattimento della testa del femore sono visibili alla radiografia o alla TC.

    Si suddivide in:
    • 3A: depressione della testa femorale ≤ 2 mm;

      3B: depressione della testa femorale >2 mm.
  • Stadio ARCO 4: nelle radiografie standard si evidenziano sia l’artrosi dell’articolazione dell’anca con restringimento dello spazio articolare sia alterazioni evidenti dell’acetabolo.

La valutazione del rischio di progressione anche grazie a questo sistema di classificazione è importante per determinare una scelta terapeutica appropriata. Sebbene non vi sia consenso sul sistema per prevedere in modo definitivo le probabilità di collasso, una revisione sull’argomento ha rilevato che un aumento del volume della lesione ed una necrosi > 40% della superficie della testa del femore che gestisce il carico sono indicativi di un futuro collasso[11].


Trattamento

Il trattamento dell’osteonecrosi della testa del femore è parzialmente controverso in quanto nessuna delle opzioni disponibili è stata abbracciata dalla comunità scientifica in modo schiacciante e inoltre pochi studi hanno confrontato l’efficacia dei vari trattamenti tra loro[11].

La letteratura è tuttavia concorde nell’affermare che il trattamento dei pazienti con osteonecrosi della testa del femore debba essere multimodale e come per altre patologie può essere suddiviso in trattamento conservativo e trattamento chirurgico.

La vera sfida clinica è la diagnosi precoce di tale disturbo poiché una diagnosi tardiva potrebbe compromettere le possibilità di successo del trattamento conservativo in quanto la patologia spesso porta a degenerazione dell’osso subcondrale rendendo necessario l’intervento chirurgico di artroprotesi totale d’anca entro due anni dall’esordio dei sintomi[12].

Trattamento conservativo

Gestione del carico: l’implementazione di una strategia di gestione del carico, ricercando il carico protetto/ottimale, è una componente importante dell’approccio terapeutico conservativo nei pazienti affetti da osteonecrosi della testa del femore; le attività ad alto impatto e con alti carichi dovrebbero essere evitate o quantomeno ridotte seguendo i principi dell’optimal loading, con lo scopo di ridurre lo stress meccanico sull’articolazione colpita e creare un ambiente che favorisca la guarigione del tessuto osseo compromesso. Anche la somministrazione di esercizio terapeutico, le modifiche nell’attività lavorativa o domiciliare verranno prescritte seguendo i principi dell’optimal loading e cercando di cucire ogni modifica sul singolo paziente/caso clinico. L’uso delle stampelle può pertanto rendersi necessario mentre si sconsiglia l’uso della sedia a rotelle (totale assenza di carico).

Alcune di queste modifiche possono essere ad esempio il consiglio di non mantenere posizioni prolungate nel tempo o di ridurre movimenti ripetitivi. L’uso delle stampelle può rendersi necessario mentre si sconsiglia l’uso della sedia a rotelle (totale assenza di carico)[3, 13].

Esercizi di forza: gli esercizi di rinforzo progressivo costituiscono una componente cruciale del percorso riabilitativo; l’obiettivo di questi esercizi è mantenere e migliorare la forza muscolare, fornendo stabilità e supporto all’articolazione. Un programma di rinforzo graduale diventa particolarmente importante nei casi in cui si sia già verificata un’importante perdita di forza o atrofia muscolare a causa di una diagnosi tardiva[13].

Educazione: è importante fornire al paziente le informazioni necessarie riguardo alle caratteristiche della patologia e riguardo ai fattori di rischio; una modifica dello stile di vita può rendersi necessaria soprattutto nei casi di abuso di alcolici, storia di fumo e obesità.

Trattamento farmacologico: viene raccomandato l’uso combinato di anticoagulanti, farmaci che migliorano la fibrinolisi e dilatatori dei vasi sanguigni. Può essere utilizzata anche una combinazione di farmaci che inibiscono la formazione di osteoclasti e farmaci che aumentano l’osteogenesi[3].

Sono state proposte diverse altre modalità conservative per il trattamento dell’osteonecrosi della testa del femore, con successo variabile: farmaci in grado di riequilibrare l’assetto lipidico, cambiamenti nella dieta o integratori di acido lipoico hanno mostrato alcuni risultati positivi negli studi, ma non ci sono prove sufficienti per raccomandarli come strategie di trattamento di prima linea. Allo stesso modo sono state proposte anche terapie fisiche come una terapia con ossigeno iperbarico, con campi elettromagnetici pulsati e con onde d’urto extracorporee dimostrando risultati parzialmente positivi, ma il disaccordo che permane sulla loro efficacia e la scarsa qualità metodologica degli studi a supporto li rende difficili da raccomandare[11].

Trattamento chirurgico

Per quanto riguarda il trattamento chirurgico, è indicato nei pazienti in cui l’osteonecrosi è progredita rapidamente e/o nei casi in cui il trattamento conservativo non abbia dato i risultati attesi.  E’ possibile distinguere le procedure in:

  • procedure per preservare l’articolazione;
  • procedure protesiche.

Le procedure più comunemente usate per tentare di salvaguardare l’articolazione nativa del paziente comprendono la decompressione (core decompression), tecniche di osteotomia nella porzione prossimale del femore e il trapianto di osso vascolarizzato o non vascolarizzato; queste tecniche sono applicabili solitamente a pazienti in stadio iniziale (ARCO 0-1) o intermedio (ARCO 2-3 ​B ) che presentano un volume necrotico superiore al 15%. Nel caso in cui questi trattamenti risultino efficaci, la sostituzione dell’articolazione potrebbe essere evitata o quantomeno ritardata, fatto di un’importanza capitale se si ricorda che l’età di insorgenza dell’osteonecrosi della testa del femore è tra i 20 e i 40 anni e che dunque in caso di artroprotesi le possibilità di andare incontro ad intervento di revisione con le relative conseguenze sono alti[3, 6].

La decompressione chirurgica della testa del femore riduce la necessità di ulteriori interventi chirurgici a breve e medio termine, ma è adatta solo per gli stadi più precoci della malattia. Una volta che i pazienti sono progrediti verso un quadro di osteoartrosi dell’anca, la sostituzione dell’articolazione è solitamente inevitabile[4].

Le procedure chirurgiche che non prevedono la conservazione dell’articolazione sono invece principalmente la protesi totale d’anca, la protesi parziale (emi-artroplastica) e le tecniche di rivestimento o resurfacing.

Protesi totale d’anca: si rende necessaria nei casi in cui la testa del femore è significativamente collassata e sono presenti caratteristiche di occlusione arteriosa in stadio avanzato (stadio ARCO 3B e 4). Spesso sono presenti una grave compromissione della funzione articolare ed un dolore moderato/severo. In linea generale sono da preferire le protesi non cementate in quanto i risultati a medio e lungo termine sembrano superiori rispetto a quelli delle protesi cementate. Va considerato però che l’osteonecrosi della testa del femore non traumatica può coinvolgere anche le ossa circostanti alla testa femorale e pertanto gli effetti a lungo termine della protesi totale d’anca potrebbero non essere così buoni come quelli in casi di osteoartrosi o di osteonecrosi della testa del femore di tipo traumatico[3, 11].

Emi-artroplastica: è una procedura chirurgica in cui la componente protesica viene utilizzata per sostituire solo una parte dell’articolazione. Questo approccio viene comunemente impiegato quando solamente una porzione specifica dell’articolazione risulta interessata e le restanti strutture articolari sono relativamente sane. Questa tecnica affronta il danno localizzato all’interno dell’articolazione, fornendo sollievo dal dolore e ripristinando la funzione senza sostituire l’intera articolazione[3, 11].

Nel resurfacing, invece di sostituire interamente la testa del femore, la superficie danneggiata viene rimodellata e ricoperta con una protesi metallica, preservando una parte ancora maggiore dell’osso naturale del paziente[3,11].

Prognosi

La regressione spontanea della necrosi avascolare è rara e la maggioranza dei pazienti non trattati progrediscono verso fratture sub-condrali e verso il collasso della testa del femore entro 2-3 anni. La protesi totale d’anca si rende necessaria nelle fasi tardive della patologia con un tasso di utilizzo del 67% nei pazienti con la patologia che risultano però asintomatici e dell’85% nei pazienti con dolore all’anca[2]. Per questo uno dei fattori prognostici più importanti è la tempestività nella diagnosi poiché consente di iniziare precocemente il trattamento migliorando la prognosi a lungo termine. Fattori prognostici negativi sembrano invece essere il coinvolgimento della porzione laterale della testa del femore, la necrosi di più di un terzo della porzione “weight-bearing” della testa femorale e uno stato avanzato della patologia al momento della diagnosi[14].

Sebbene molti autori abbiano suggerito piani di trattamento basati su vari parametri come l’età del paziente, i sintomi, la stadiazione e/o sull’eventuale presenza di comorbidità, la comunità ortopedica non ha ancora adottato un algoritmo di trattamento uniforme: una gestione precoce ed efficace in fase pre-collasso può essere fondamentale per ottenere risultati positivi preservando l’articolazione nativa del paziente[2].

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