Lesione del Legamento Crociato Posteriore (LCP)

legamento crociato posteriore

Il legamento crociato posteriore (LCP) è un legamento intra-articolare e extra-sinoviale del ginocchio, ha una lunghezza di 36-38 mm e una cross-sectional area di mediamente 40-60 mm2 nella zona centrale[1]. Come il legamento crociato anteriore, è composto da due fasci, il fascio antero-laterale è orientato più verticalmente, più largo nella sua CSA e forte contro lo stress tensile, mentre il fascio postero-mediale è orientato più orizzontalmente, più piccolo e debole, ed è responsabile della stabilità rotazionale[1]. I due fasci originano dalla zona laterale del condilo mediale del femore e l’origine ha la forma di una mezza luna, mentre l’inserzione tibiale si trova posteriormente al piatto tibiale, nella fossa intercondiloidea, anche chiamata fossa del legamento crociato posteriore, molto vicino alle radici posteriori dei menischi mediale e laterale[2]. I fasci agiscono sinergicamente per stabilizzare il ginocchio e in particolare per limitare il movimento di traslazione posteriore della tibia tra 0° e 120° e per fornire stabilità rotazionale al ginocchio tra 90° e 120° circa.

Il legamento crociato posteriore agisce in sinergia con le strutture dell’angolo postero-laterale del ginocchio, ossia il tendine popliteo, il legamento popliteo fibulare e il legamento collaterale laterale per stabilizzare la traslazione posteriore tibiale, il momento in varo e la rotazione esterna tibiale.

Il supporto vascolare del legamento crociato posteriore deriva principalmente dall’arteria genicolata mediale, e rispetto al legamento crociato anteriore è maggiormente vascolarizzato, e ciò determina una miglior guarigione nel caso di lesioni di basso grado.

La lesione isolata del legamento crociato posteriore è una condizione molto rara, che si verifica in meno dell’1% delle lesioni acute al ginocchio[3], è molto più comune che una sua lesione si verifichi insieme a quella di altre strutture del ginocchio, in particolare quelle che fanno parte dell’angolo postero-laterale.

In entrambi i casi la difficoltà è legata al tipo di trattamento da effettuare, perché il conservativo si è dimostrato efficace in molti casi, ma altri studi riportano una diminuzione della soggettiva funzionalità del ginocchio dopo la lesione; inoltre, ci sono studi che riportano un più alto rischio di lesione meniscale e sviluppo di osteoartrosi, altri invece mostrano buoni outcome dopo il trattamento conservativo e senza un rischio aumentato di sviluppare queste problematiche, perciò è necessario fare chiarezza su questi aspetti[3].

Tipologia di paziente

Come è stato detto poco sopra, la lesione del legamento crociato posteriore molto spesso non è isolata, ma avviene insieme a lesioni di altri legamenti del ginocchio o dei menischi, in particolare, secondo alcuni studi la lesione di grado III sembra essere associata nel 46% dei casi alla lesione del crociato anteriore, nel 31% dei casi alla lesione del legamento collaterale mediale[4] e nella maggior parte dei casi avviene insieme alla lesione dell’angolo postero-laterale del ginocchio, con una prevalenza che varia dal 15 al 42%[1].

Il meccanismo traumatico descritto è solitamente un trauma ad alta energia come può avvenire durante gli sport o durante incidenti in moto o in macchina; premettendo che la lesione può avvenire a chiunque venga sottoposto a questo meccanismo traumatico, gli uomini sembrano essere più soggetti delle donne, in particolare quelli con un’età media compresa tra i 28 e i 34 anni[1]. Nonostante ciò, la lesione del LCP rimane abbastanza rara, in particolare quella isolata ha un’incidenza di circa 2 su 100.000 persone ogni anno[3].

Patofisiologia

La lesione al legamento crociato posteriore avviene tendenzialmente in maniera traumatica, e in particolare nei traumi ad alto impatto come negli sport da contatto o negli incidenti automobilistici. I meccanismi traumatici principali descritti in letteratura sono una forza diretta posteriormente sulla tibia con ginocchio flesso, l’iperestensione del ginocchio con il piede ancorato al terreno, la quale causa una lesione prossimale associata spesso a una frattura da compressione del piatto tibiale anteriore e una rotazione associata a valgismo/varismo del ginocchio, il quale può causare lesioni associate alle strutture capsulo-legamentose periferiche, ai menischi e alla cartilagine[1,5].

Lesioni del legamento crociato posteriore possono comunque avvenire anche nei traumi a basse velocità, in particolare nelle persone obese[1].

Diagnosi differenziale

  • Lesione del legamento crociato anteriore
  • Lesione del legamento collaterale mediale
  • Lesione del legamento collaterale laterale
  • Lesione dei menischi
  • Lesione del popliteo
  • Lesione del legamento popliteo-fibulare
  • Lesioni cartilaginee del ginocchio
  • Lesione del tendine rotuleo
  • Lesione del tendine quadricipitale
  • Lesione muscolare degli ischio-crurali
  • Lesione muscolare del quadricipite
  • Fratture di tibia, femore e perone
  • Lussazioni della rotula

Elementi anamnestici

Distinguiamo gli elementi anamnestici in due gruppi, in caso di lesione acuta e in caso di lesione cronica. In caso di lesione acuta i sintomi sono:

  • Storia di trauma, in particolare se con impatto diretto sulla tibia prossimale
  • Insorgenza di dolore e gonfiore nelle prime ore post-trauma
  • Insorgenza di dolore improvvisa e in seguito ad un evento con meccanismo simile a quelli descritti precedentemente
  • Dolore in zona patello-femorale, posteriore o antero-mediale al ginocchio
  • Inabilità a caricare peso sull’arto
  • Instabilità
  • Ridotto range di movimento

Nella popolazione atletica si può verificare questa lesione in caso di impatto diretto sulla tibia e di caduta sul ginocchio con piede in flessione plantare, ma gli atleti spesso non riscontrano un “pop” come nel caso del crociato anteriore, e a volte sono in grado di riprendere a giocare[6].

In caso di lesione cronica i sintomi sono[4,7]:

  • Sensazione di discomfort al ginocchio
  • Dolore anteriore al ginocchio più vago e meno preciso che nella lesione acuta
  • Dolore con decelerazioni
  • Dolore in caso di camminate in discesa e in salita
  • Dolore correndo con passo ampio
  • Difficoltà a salire le scale
  • Instabilità

Esame obiettivo e valutazione

Per fare un buon esame fisico del ginocchio sarebbe meglio che esso arrivasse a flettersi di almeno 90° in modo da poter eseguire tutti i test. Nel caso in cui la storia ci fa sospettare una lesione del crociato posteriore l’esame fisico da effettuare deve comprendere:

  • Valutazione del gonfiore del ginocchio con stroke test, ballottamento rotuleo o metro da sarta
  • Osservazione del ginocchio per notare eventuali lividi, in particolare potremmo notarne uno anteriormente alla tibia
  • Misurazione della circonferenza muscolare della coscia con metro da sarta
  • Valutazione del ROM attivo e passivo del ginocchio che potrebbero essere limitati a causa del gonfiore
  • Valutazione della capacità di carico dell’arto inferiore e del ginocchio (può caricare il peso? Riesce a camminare?)
  • Applicazione delle ottawa knee rules
  • Valutazione dei polsi dell’arteria poplitea e dell’arteria pedidea
  • Test speciali per il legamento crociato posteriore:
  • Test del cassetto posteriore: è il più accurato, e in caso di lesione del crociato posteriore isolata la traslazione posteriore tibiale si riduce mettendo il ginocchio in rotazione interna, per la trazione della parte superficiale del legamento collaterale e del legamento posteriore obliquo[6].
  • Quadriceps active test: vengono riportate una specificità del 97% e una sensibilità del 54%
  • Reverse pivot-shift test: ha una specificità del 95% ma una bassa sensibilità (26%).
  • Dial test: utile per identificare eventuali lesioni dell’angolo postero-laterale del ginocchio associate alle lesioni dell’LCP.
  • Test speciali per escludere altre lesioni legamentose (LCA e legamenti collaterali)
  • Test speciali per escludere lesioni meniscali (cluster di Lowery)
  • Valutazione della forza/attivazione del quadricipite

A seguito dell’esame fisico se si sospetta una lesione del legamento crociato posteriore è importante inviare il paziente a effettuare un esame strumentale. Il gold standard è la risonanza magnetica, in cui il legamento crociato posteriore sano si dovrebbe vedere continuo, rilassato e deteso, dato che la posizione che si utilizza per l’esame è col ginocchio in estensione. È sensato far sì che il paziente effettui anche una radiografia bilaterale in visione antero-posteriore e laterale per identificare eventuali fratture associate, come ad esempio la frattura di segond, tipica di una lesione all’LCP associata a una lesione del menisco mediale, avulsioni o lussazioni articolari. È utile fare anche una radiografia in visione laterale a 70° di flessione del ginocchio in carico, in cui è possibile vedere una traslazione posteriore della tibia in caso di lesione del crociato posteriore.

Trattamento

Il trattamento della lesione al legamento crociato posteriore, così come nel caso del suo opposto, il crociato anteriore, può essere di diverso tipo, e la scelta dipende da tantissimi fattori: il paziente (età, sport praticato, obiettivi…), il tipo di lesione (grado della lesione, meccanismo traumatico…), le lesioni associate e tanti altri fattori secondari come il tibial slope posteriore, la topografia condrale, la lassità e la forza[6].

Conservativo o chirurgico?

La prima cosa da decidere è se optare per il trattamento conservativo o per quello chirurgico; fino a qualche anno fa il primo era favorito, negli ultimi anni invece il chirurgico ha dimostrato buoni outcome nel lungo termine, riducendo l’osteoartrosi del ginocchio e le lesioni meniscali negli anni seguenti l’infortunio.

Rimangono entrambe due buone opzioni, con outcome simili a livello funzionale, perciò è importante valutare e scegliere quella che sembra più adatta per il paziente. A questo proposito i fattori che si prendono in considerazione per la scelta sono:

  • Il grado di lesione: si prende in considerazione maggiormente l’intervento chirurgico nelle lesioni di grado III
  • La traslazione posteriore tibiale: nel caso di una differenza di almeno 8 mm tra i due arti, misurabile tramite una radiografia sotto stress, si prende in considerazione l’intervento.
  • La differenza nei movimenti rispetto all’arto controlaterale: nel caso in cui i movimenti di traslazione e rotazione del ginocchio sono aumentati rispetto al controlaterale, tanto da creare instabilità soggettiva e oggettiva, si prende in considerazione l’intervento.
  • Il fallimento del trattamento conservativo
  • La domanda del paziente: se il paziente pratica uno sport multi-direzionale e soprattutto ad alto livello tendenzialmente si opta per l’intervento[8].

Entrambe le opzioni hanno dei pro e dei contro: il trattamento chirurgico presenta un tasso di fallimento che va dall’1% al 25%, e si sale anche fino al 45% se si considera fallimento anche un recupero scarso (Knee Injury and Osteoarthritis Outcome Score < 40)[8]; inoltre presenta tutti i rischi legati all’intervento, il conservativo predispone maggiormente a lesioni meniscali, osteoartrosi e successivo intervento di protesi però ha meno rischi del chirurgico e l’outcome funzionale è simile[9].

Scelta del graft

Nel caso in cui si opti per il trattamento chirurgico è importante capire qual è il graft da utilizzare. Innanzitutto, è possibile utilizzare la tecnica di ricostruzione a un singolo fascio o a due fasci, nel primo caso l’obiettivo è ripristinare la cinematica del ginocchio seguendo la direzione del fascio più grande, ossia l’antero-laterale, nel secondo caso invece si ricostruiscono entrambi i fasci, per fornire al legamento l’anatomia precedente all’infortunio. A questo proposito, la fissazione del graft in caso di ricostruzione a un fascio riesce a ripristinare la corretta cinematica articolare se è effettuata tra 75° e 105° di flessione del ginocchio; in caso di ricostruzione a due fasci invece quello posteromediale dev’essere fissato a 0° e quello anterolaterale tra 90° e 105° di flessione[8].

Come per la ricostruzione del legamento crociato anteriore, anche in questo caso è possibile utilizzare sia un allograft che un autograft. Nel primo caso spesso viene prelevato da cadavere il tendine d’Achille, sia per la ricostruzione a un fascio, sia per quella a due fasci, in cui il diametro per il fascio AL è di 6-9 mm e per il fascio PM è di 6-7 mm[9]. In caso di graft autologo invece è possibile prendere sia un graft di solo tessuto molle come il semitendinoso e gracile, o un bone-tendon-bone con il tendine rotuleo, non ci sono particolari differenze tra i due a livello funzionale e di traslazione tibiale posteriore[10], l’allograft con il tendine d’Achille permette, però, di non alterare la biomeccanica del quadricipite, il quale è un sinergista del crociato posteriore[11], anche se vanno comunque considerati i maggiori rischi intra-operatori legati al suo utilizzo rispetto a un graft autologo.

Tra i due tipi di graft l’unica differenza significativa è la traslazione tibiale posteriore, maggiore se si opta per la ricostruzione a un fascio solo, mentre a livello funzionale gli outcome sono simili anche nel lungo termine. Ovviamente in caso di ricostruzione a doppio fascio l’intervento è più difficile e più lungo; perciò, aumenta il rischio di complicanze peri-operatorie. Non esistono quindi ad oggi un graft o una tecnica migliori di altri, bisognerebbe scegliere la migliore opzione per il paziente che si ha davanti.

Tecnica operatoria

Oltre al tipo di graft, è importante scegliere quale tecnica utilizzare per la fissazione del graft alla tibia durante la ricostruzione del crociato posteriore, ne esistono infatti due, la transtibiale e la tibial inlay.

La tecnica transtibiale è più complessa, con un maggior rischio di creare quello che viene chiamato “killer turn effect”, ossia un angolo troppo acuto tra il neo-legamento e la tibia, il quale causa lassità posteriore residua e maggior rischio di re-injury. Questo rischio diminuisce nel caso in cui vengano preservate, ove possibile, le fibre del nativo PCL; perciò, questa tecnica è da preferire in questi casi. Non è invece possibile mantenere le fibre del legamento originale in caso di lesione cronica; perciò, in questa occasione la tecnica da preferire è la tibial inlay[8]; questa tecnica è nata proprio per ridurre il rischio del “killer turn effect”, ma è più lunga da eseguire rispetto alla transtibiale.

Solitamente, in base alla tecnica utilizzata si sceglie il graft; è preferibile usare un graft di solo tessuto molle in caso di tecnica transtibiale e un bone-tendon-bone in caso di tibial inlay.

Uno studio ha comunque riportato che il 46% dei pazienti che hanno subito una PCLR con tecnica transtibiale e il 57% di quelli operati con tecnica tibial-inlay hanno riportato residui episodi di instabilità soggettiva[12].

Complicanze dell’intervento

Le complicanze legate all’intervento di ricostruzione possono essere sia intra-operatorie che post-operatorie e comprendono artrofibrosi, dolore, infezioni, parestesia, lesioni vascolo-nervose, trombosi venosa profonda, fallimento del graft e ematoma post-operatorio. Sono più comuni nel caso in cui si utilizzano la tecnica tibial inlay e la ricostruzione a due fasci, anche a causa del maggior tempo chirurgico richiesto.

Trattamento conservativo

Il trattamento conservativo è quello preferito sicuramente in caso di lesioni di grado I e II, ma può dare ottimi risultati anche in caso di lesioni complete, con outcome molto buoni e sovrapponibili a quelli del trattamento chirurgico[13]; lo studio appena citato prende in considerazione atleti d’elite con lesioni isolate al PCL di grado III, trattate conservativamente, la maggior parte di essi dopo un follow up a 5 anni di distanza era tornato a giocare ed era ancora in grado di svolgere sport ad alto livello, e il loro programma riabilitativo era durato solamente 16 settimane.

Anche senza considerare gli atleti professionisti, la maggior parte dei pazienti trattati conservativamente recupera senza problemi le attività di vita quotidiana e il 45% di essi è in grado di eseguire sport di salto e di pivoting nei follow up a lungo termine.

In questo caso il trattamento si basa sulla combinazione di un periodo di immobilizzazione/riduzione del ROM con tutore statico o dinamico con l’esercizio terapeutico progressivo e sempre più sport-specifico.

Percorso riabilitativo

In seguito all’infortunio o all’intervento, ciò che fa la differenza nel ritorno alle attività e allo sport è il percorso riabilitativo del paziente. a proposito di questo possiamo inizialmente fare una panoramica generale delle varie fasi che compongono la riabilitazione e poi scendere più nello specifico.

Un protocollo generale che si può prendere come riferimento iniziale è quello di Winkler 2020[8], il quale divide le fasi riabilitative in base al tempo dall’infortunio/intervento. In caso di trattamento conservativo abbiamo questa divisione:

  • Fase 1 (giorno 0 – 6 settimane): in questa fase si utilizzano un tutore dinamico, con carico a tolleranza e ROM limitato a 0°-90°. La fisioterapia può iniziare subito, si esegue in posizione prona per ridurre l’utilizzo degli ischio-crurali e gli obiettivi iniziali sono ripristinare la salute del ginocchio, ridurre l’edema e il dolore.
  • Fase 2 (settimane 6-12): gli obiettivi della fase 1 sono una riduzione del gonfiore e del dolore, perciò nel momento in cui questi sono raggiunti si passa alla fase 2, in cui è bene utilizzare ancora il tutore dinamico e il carico rimane a tolleranza, ma il ROM può venir recuperato completamente con esercizi progressivi, e si iniziano esercizi di forza per recuperare il quadricipite e gli altri muscoli degli arti inferiori e del tronco, in particolare in catena cinetica chiusa.
  • Fase 3 (settimane 12-24): una volta raggiunti determinati obiettivi di ROM e forza muscolare è possibile passare alla fase successiva, in cui è ancora consigliato un tutore dinamico, ma il carico e il ROM sono completi. In questa fase gli esercizi di forza diventano più intensi ed è utile inserire esercizi anche di coordinazione neuromuscolare.
  • Fase 4 (settimane 24-36): in questa fase è possibile ricominciare a fare sport senza salti e cambi di direzione, come corsa e bicicletta, perciò prima di arrivarci è necessario raggiungere criteri di forza e coordinazione neuromuscolare tali da poterli riprendere in sicurezza; oltre a questo, per la corsa è importante fare una progressione graduale che comprenda anche attività di SSC.
  • Fase 5 (settimane 36-48): dalla settimana 36 in poi, una volta ripresa la corsa e aver raggiunto determinati parametri di velocità e resistenza è possibile orientare la riabilitazione verso la fase più sport-specifica, che mira a far recuperare sicurezza e velocità nel gesto tipico dello sport praticato dal paziente.
  • Fase 6: (settimana 48 in poi): è la fase in cui si torna allo sport in maniera graduale

In caso di trattamento chirurgico, invece, si seguono a grandi linee queste indicazioni:

  • Fase 1 (giorno 0 – 6 settimane): in questa fase si utilizzano un tutore statico con sostegno posteriore tibiale, per proteggere il neo-legamento dall’attivazione degli ischio-crurali, con carico a tolleranza e ROM limitato a 0°-90°. La fisioterapia può iniziare subito, si esegue in posizione prona per ridurre l’utilizzo degli ischio-crurali e gli obiettivi iniziali sono ripristinare la salute del ginocchio, ridurre l’edema e il dolore.
  • Fase 2 (settimane 6-12): nel momento in cui gli obiettivi della fase 1 vengono raggiunti si passa alla fase 2, in cui è bene utilizzare ancora il tutore statico la notte e passare a un tutore dinamico di giorno, il carico rimane a tolleranza, ma il ROM si può recuperare completamente con esercizi progressivi, iniziando anche esercizi di flessione attiva del ginocchio, insieme ad esercizi di forza per recuperare il quadricipite e gli altri muscoli degli arti inferiori e del tronco, in particolare in catena cinetica chiusa.
  • Fase 3 (settimane 12-24): una volta raggiunti determinati obiettivi di ROM e forza muscolare è possibile passare alla fase successiva, in cui è ancora consigliato un tutore dinamico, ma il carico e il ROM sono completi. In questa fase gli esercizi di forza diventano più intensi, in particolare si possono eseguire anche flessioni del ginocchio contro resistenza ed è utile inserire esercizi anche di coordinazione neuromuscolare.
  • Fase 4 (settimane 24-36): in questa fase è possibile ricominciare a fare sport senza salti e cambi di direzione, come corsa e bicicletta, perciò prima di arrivarci è necessario raggiungere criteri di forza e coordinazione neuromuscolare tali da poterli riprendere in sicurezza; oltre a questo, per la corsa è importante fare una progressione graduale che comprenda anche attività di SSC.
  • Fase 5 (settimane 36-48): dalla settimana 36 in poi, una volta ripresa la corsa e aver raggiunto determinati parametri di velocità e resistenza è possibile orientare la riabilitazione verso la fase più sport-specifica, che mira a far recuperare sicurezza e velocità nel gesto tipico dello sport praticato dal paziente.
  • Fase 6: (settimana 48 in poi): è la fase in cui si torna allo sport in maniera graduale

Questo è un protocollo che come sempre ha degli aspetti positivi e dei limiti, però è utile da prendere in considerazione per farsi un’idea delle tempistiche, e vedere se il nostro paziente le sta rispettando o meno. La riabilitazione, comunque, non si basa sul protocollo, ma sul paziente che abbiamo davanti; perciò, il tempo non è l’unico criterio utile per capire come e quando progredire nel trattamento, anzi, si è visto negli ultimi anni come un approccio basato su dei parametri oggettivi e funzionali sia molto più utile; infatti, ora andremo a vedere nello specifico ogni fase della riabilitazione prendendo come riferimento questi ultimi.

La prima fase post-infortunio o post-operatoria ha come obiettivi principali il ripristino della salute del ginocchio, riducendo dolore e gonfiore, la riattivazione del quadricipite, la prevenzione dell’inibizione muscolare artrogenica, ossia la perdita di attivazione del quadricipite a causa di inibizione neurale[14] la protezione del neo-legamento e la normalizzazione del cammino[6]. In questa fase il ROM dell’arto è limitato a 90° di flessione; perciò, per raggiungere il primo obiettivo è possibile utilizzare ghiaccio a cicli, tenere l’arto sollevato, mobilizzarlo passivamente da posizione prona nel range consentito, in particolare il minimo stress sul legamento lo si ha tra 40° e 90° di flessione[6], mobilizzare la patella e utilizzare eventualmente l’elettrostimolazione per l’AMI. È possibile utilizzare alcuni test in questa fase per oggettivare la quantità di gonfiore come il ballottamento rotuleo e il bulge sign, ed è possibile misurare la circonferenza del ginocchio con il metro da sarta, stando 1 cm sopra la rotula col metro, e la circonferenza della coscia, stando con il metro 20 cm sopra la rima mediale del ginocchio. Questi ultimi due test sono utili in quanto permettono di far rendere conto il paziente della differenza tra i due arti in maniera semplice e veloce. Già dai primi giorni, ma soprattutto dopo le prime due settimane, sarà fondamentale ricominciare ad allenare tutti i muscoli dell’arto inferiore controlaterale e i muscoli di anca e caviglia dell’arto infortunato, oltre ai muscoli del tronco e alla capacità aerobica. In particolare, come ormai è risaputo, allenare l’arto sano con determinati criteri permette di avere un miglioramento di forza anche su quello infortunato, perciò è utile inserire appena possibile esercizi intensi come la leg extension monopodalica, il single leg squat e simili. In questa fase è consigliato spesso l’utilizzo di un tutore, in quanto, in particolare nel trattamento conservativo, la guarigione del legamento in posizione allungata può contribuire allo sviluppo di instabilità cronica, perciò un tutore con sostegno posteriore può favorire la guarigione[15,16], ma d’altro canto alcuni autori sostengono che il carico senza tutore favorisca la guarigione del legamento e del tunnel[17], anche perché shelburne e pandy[18] sostengono che la tibia riceva forze dirette anteriormente durante il cammino, proteggendo il LCP.

In questa fase è necessario evitare l’iperestensione e la traslazione tibiale posteriore per favorire la guarigione del legamento[6].

Nel momento in cui il paziente è in grado di eseguire un SLR senza perdita dell’estensione, ha un ROM 0°-70° e migliorano la mobilità della rotula e la forza dei muscoli prossimali dell’arto[19] è possibile progredire recuperando il ROM completo, il corretto schema del passo senza stampelle, cominciando ad allenare la propriocezione, passando da lavori su due gambe a lavori in single leg stance e inserendo esercizi di forza, in particolare bipodalici e ricercando la simmetria e mantenendo un ROM tra 0° e 70° di flessione per evitare eccessivo stress[15]. Dalla tredicesima settimana circa si possono chiedere al paziente anche delle flessioni attive di ginocchio, prima senza resistenza e dopo qualche settimana con resistenza graduale.

Appena il paziente raggiunge circa 115° di flessione è possibile utilizzare anche la cyclette senza resistenza[15].

Dopo aver raggiunto gli obiettivi della fase 2 è possibile tornare a eseguire attività a basso impatto e sport senza cambi di direzione come la corsa e il ciclismo; tendenzialmente la corsa si riprende attorno alla sedicesima settimana[13] e oltre ad aver raggiunto i criteri di forza e propriocezione richiesti, è importante che il paziente svolga un programma di SSC che lo prepari gradualmente all’attività; esso comprende esercizi come skip e task simili di coordinazione, atterraggi e salti.

Mentre il paziente prosegue con la corsa aumentando distanze e velocità è necessario esporlo gradualmente ad attività pliometriche e di agilità, aumentando gradualmente la variabilità degli esercizi e dei movimenti ed esponendo il paziente a task sempre più complessi con stimoli di diverso tipo, come avviene nello sport praticato, in modo da riallenare anche la parte cognitiva e rendere il paziente pronto a ritornare allo sport il più possibile in sicurezza. Per il rientro allo sport dopo lesione al legamento crociato posteriore possiamo in parte rifarci in parte ai criteri funzionali che si utilizzano dopo la lesione al crociato anteriore, perciò il paziente dovrà avere un ROM completo, il ginocchio completamente sgonfio e senza segni di infiammazione, un Limb Simmetry Index più vicino possibile al 100%, e comunque sopra il 90% per la forza di tutti i distretti muscolari singolarmente e nei test di salto eseguiti prima del rientro, nessuna sensazione di instabilità e cedimento e buoni valori di agilità ai test come il T-test o l’Illinois agility test[15]. Oltre a ciò, è fondamentale che l’atleta sia psicologicamente pronto, per constatarlo si possono usare alcune scale come la Tampa scale, e che prima di rientrare in partita si alleni per circa 2 mesi con la squadra senza nessun problema. Il processo di rientro allo sport e in seguito di ritorno alla performance è quindi complesso e non si ferma al momento in cui l’atleta rimette piede in campo, ma continua fino a quando non ha svolto diverse partite e ha raggiunto i livelli prestazionali pre-infortunio.

Prognosi

In caso di lesione al legamento crociato posteriore la prognosi è dipendente da vari fattori: dal tipo di infortunio e dalle lesioni associate, dalla scelta del tipo di trattamento, ma anche dagli obiettivi del soggetto e dallo sport praticato. È ovviamente più lunga nei soggetti che praticano sport multidirezionali e vogliono riprendere a giocare. Per quanto riguarda il tipo di trattamento, sia nel trattamento conservativo che nel chirurgico il rientro allo sport è previsto tra i 6 mesi e l’anno, ciò dipende dall’infortunio, dal livello di sport, dalla riabilitazione e da tanti altri fattori[19], perciò più l’operazione viene ritardata e più si allunga la prognosi dal momento dell’infortunio se si opta per questa soluzione.

Uno studio citato precedentemente ha evidenziato che i tempi di recupero possono anche essere più brevi, dimostrando un buon recupero in caso di lesioni isolate al PCL, anche di grado III, trattate conservativamente a 16 settimane dal trauma. Addirittura dopo un follow up di 5 anni il 69% di loro era ancora in grado di svolgere sport ad alto livello[13]. Questo ci fa capire come in base alla situazione di partenza, all’infortunio e all’obiettivo i tempi di recupero possono cambiare.

La prognosi è comunque tendenzialmente favorevole, infatti la maggior parte dei pazienti torna a praticare sport al livello pre-infortunio[20], in particolare schroven ha eseguito una meta-analisi trovando che il 74% dei pazienti ritorna a livelli di sport pre-infortunio, e il 77% complessivamente ritorna allo sport[21].

Sembra che ci sia un tasso di ritorno allo sport maggiore in caso di trattamento conservativo rispetto al chirurgico, ma questo dato potrebbe essere mal interpretato in quanto chi si sottopone a chirurgia tendenzialmente ha una lesione più importante o multilegamentosa[19].

Prima veniva molto utilizzato il trattamento conservativo, studi abbastanza recenti hanno però evidenziato che in caso di lesione al PCL c’è un maggior rischio di sviluppare lesioni meniscali, osteoartrosi e di andare incontro a chirurgia protesica di ginocchio rispetto ai pazienti senza lesione, e questo rischio si riduce nel caso in cui venga effettuato un trattamento chirurgico entro un anno dal trauma, mentre rimane più alto in caso di trattamento conservativo o chirurgia tardiva[6], in particolare la lesione dell’LCP determina un aumento del picco di contatto del femore sulla porzione anteriore e mediale della tibia e ciò aumenta la deformazione della cartilagine nella parte mediale[22]. Anche il movimento della patella si modifica in seguito alla lesione, con aumentati angoli di flessione e limitati shift laterale, tilt patellare e valgo rotazione in angoli di flessione elevati del ginocchio, e ciò determina lo spostamento del contatto cartilagineo a livello patello-femorale distalmente e medialmente[23]. Perciò sembra sia migliore il trattamento chirurgico di ricostruzione nel lungo termine per quanto riguarda le lesioni associate. Per quanto riguarda la funzionalità del ginocchio e la ripresa delle attività nel breve termine non ci sono particolari differenze tra i due approcci.

Un altro fattore che può influenzare la prognosi è ovviamente il tipo di riabilitazione svolta, che deve seguire le linee guida, ma allo stesso tempo essere individualizzata sul soggetto e sui suoi obiettivi, includendo il più possibile movimenti e gesti sport specifici e anche ad alta velocità, tipici del lavoro in campo.

Della riabilitazione del crociato posteriore si può sicuramente dire che ci sono ancora tanti dubbi e che nei prossimi anni diversi gli studi dovrebbero fare chiarezza su tutti questi punti che abbiamo descritto nell’articolo.


    1. Winkler, P. W., Zsidai, B., Wagala, N. N., Hughes, J. D., Horvath, A., Senorski, E. H., Samuelsson, K., & Musahl, V. (2021). Evolving evidence in the treatment of primary and recurrent posterior cruciate ligament injuries, part 1: Anatomy, biomechanics and diagnostics. Knee Surgery, Sports Traumatology, Arthroscopy, 29(3), 672–681. https://doi.org/10.1007/s00167-020-06357-y
    2. Lynch, T. B., Chahla, J., & Nuelle, C. W. (2021). Anatomy and Biomechanics of the Posterior Cruciate Ligament. The Journal of Knee Surgery, 34(05), 499–508. https://doi.org/10.1055/s-0041-1725007
    3. Sanders, T. L., Pareek, A., Barrett, I. J., Kremers, H. M., Bryan, A. J., Stuart, M. J., Levy, B. A., & Krych, A. J. (2017). Incidence and long-term follow-up of isolated posterior cruciate ligament tears. Knee Surgery, Sports Traumatology, Arthroscopy, 25(10), 3017–3023. https://doi.org/10.1007/s00167-016-4052-y
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