Frozen Shoulder

Ecco una guida per il fisioterapista sulla valutazione e gestione della Frozen Shoulder.

frozen shoulder

La spalla congelata, in inglese frozen shoulder, è una patologia che colpisce la spalla, caratterizzata da dolore e rigidità.

Può essere classificata in una forma idiopatica primaria o in varie forme secondarie.

La forma idiopatica primaria è senza causa apparente (la “vera” frozen shoulder), mentre invece le forme secondarie sono quelle condizioni di rigidità di spalla causate da cause di tipo traumatico, neurologico, cervicali o sistemiche (1).

La forma idiopatica primaria è definita come una situazione di causa incerta, contrassegnata da dolore e da una limitazione più o meno significativa dei movimenti, sia quando sono eseguiti in modo passivo che attivo, senza che siano presenti evidenti anomalie visibili o strutturali all’interno o all’esterno dell’articolazione coinvolta (2).

Nel corso del tempo la spalla rigida è stata denominata in vario modo, senza giungere ad un consenso universalmente riconosciuto. Generalmente viene definita “capsulite adesiva”, quindi con una visione pato-anatomica, oppure “spalla congelata”, con una visione maggiormente clinica.

Entrambi i modi di definire la spalla rigida presentano delle limitazioni, infatti il termine “frozen  shoulder” non tiene conto di tutti i meccanismi pato-fisiologici che determinano la patologia e può essere fuorviante per il clinico, perché l’espressione congelata dà immagine di una spalla incapace di muoversi, quando non in tutte le fasi della patologia è preponderante la restrizione di movimento. Quando invece si sente parlare di capsulite adesiva presupponiamo già una visione pato-anatomica, dando per assodato che ci sia un’adesione dei tessuti capsulari, poiché non è detto che ci sia un’adesione dei tessuti e che questa sia presente in tutte le spalle rigide (3,4).

Una revisione sistematica (5), ha analizzato come in 24 revisioni svolte con un alto livello metodologico sull’argomento, solo 2 di esse parlando esclusivamente di spalla congelata, mentre solamente 7 parlano di capsulite adesiva.

Quindi, come dobbiamo chiamare questa patologia?

Alcuni autori ci consigliano di chiamare questa patologia frozen shoulder contracture syndrome (FSCS), infatti è un termine che esclude la componente adesiva, che come detto precedentemente non è presente, incasella un insieme di segni e sintomi e cita la presenza dell’eccessiva contrazione muscolare e capsulare (4,5)

Guarda come eseguire una valutazione articolare della spalla

Cause della Frozen Shoulder

La spalla rigida idiopatica primaria non ha una causa del tutto certa, ma grazie a diversi articoli pubblicati in letteratura, conosciamo bene i meccanismi che soggiacciono questo processo.

Siamo a conoscenza di una co-esistenza e di un’auto-alimentazione di un ciclo infiammatorio che esita poi in fibrosi di alcuni tessuti.

Tutto il processo di sviluppo della frozen shoulder sembrerebbe essere innescato da una cascata citochinica. Questa condizione potrebbe essere facilitata da diversi input, come che dei micro traumatismi, dei movimenti ripetuti nel tempo oppure semplicemente per motivi di tipo genetico. Avere un ambiente più sfavorevole (dismetabolismo, patologie autoimmuni, profili di sensibilità alterata) può determinare con più facilità l’esplosione di questo processo (6).

Nei pazienti con FSCS sembrerebbero essere presenti:

  • Un livello elevato di citochine e fattori di crescita, determinando quindi dei cambiamenti a livello tissutale (7)
  • Un’elevata rappresentazione a livello istologico di alcune sostanze come: interleuchina 1, TNFalfa, COX2, sostanze che si esprimono maggiormente in alcune particolari zone della capsula, in particolare nella borsa sotto-acromiale (8)
  • La presenza di un’iper-stimolazione del sistema immunitario, infatti in sede articolare sono stati trovati i mastociti che hanno un ruolo fondamentale nella regolazione della produzione di fibroblasti immaturi. Questo vuol dire che il sistema immunitario determina dei cambiamenti, con dei meccanismi a feed-forward, nel turn over tissutale. Quindi sarà presente un’iper-produzione di fibroblasti immaturi che si depositeranno a livello della capsula articolare (9)
  • Tra i vari responsabili di questa cascata citochinica sono presenti degli enzimi: le metalloproteasi, che determinano il turn-over tissutale. Questi enzimi infatti sono i responsabili della produzione o disgregazione dei fibroblasti che servono per l’equilibrio tra la presenza di collagene di tipo 1 e collagene di tipo 3 (10,11)
  • La presenza di allarmine: segnali di pericolo che sostengono la presenza del processo infiammatorio (12)
  • Una sovra espressione di Vimentina, una proteina citocontrattile che si deposita nella capsula e che si colloca con maggiore frequenza e prevalenza nell’intervallo dei rotatori, nel legamento coraco-omerale e nella capsula anteriore (13).

Quindi, in situazioni normali, diversi input dall’esterno possono innescare diverse risposte nel nostro organismo e nella spalla tra cui: la stimolazione continua della sinovia, la presenza di  infiammazione, oppure un’ischemia temporanea causata da sovraccarico, stress e iperattività. Pertanto, anche insulti minori possono attivare una complessa cascata biologica, caratterizzata da una sovraespressione di citochine da un lato e da una risposta immuno-mediata dall’altro, e questo è normale e fisiologico nell’organismo, neanche ce ne accorgiamo. Se però il terreno biologico è particolarmente predisposto (dismetabolismo, patologie autoimmuni, profili di sensibilità alterata), possono essere prodotti diversi mediatori dell’infiammazione, tra cui la Sostanza P, il TGF-beta, l’interleuchina 8, l’interleuchina 6, l’interleuchina 1, il TNF-alfa e la COX-2,  inoltre, macrofagi, mastociti e linfociti B possono infiltrarsi nella capsula articolare della spalla, generando un processo infiammatorio al quale il nostro organismo non riesce a reagire.

Tutto questo è facilitato dalla presenza delle prostaglandine, importanti nella percezione del dolore, dalle metalloproteinasi e dalla Sostanza P, che  favoriscono i fenomeni di neoangiogenesi, determinando pertanto la formazione di nuovi vasi sanguigni, causando quindi un ambiente vascolare aperto, che facilita l’accumulo di ulteriori citochine, amplificando perciò la risposta infiammatoria.

Pertanto, questi sono i processi che determinano la stiffness capsulare e la sintomatologia dolorifica della FSCS.

Diagnosi della Frozen Shoulder Contracture Syndrome (FSCS)

Non esiste un gold standard diagnostico per la FSCS, infatti la diagnosi è clinica, associando le diverse informazioni raccolte dall’anamnesi, la palpazione, il test di rotazione esterna e dall’imaging diagnostico (14).

L’anamnesi è determinante per costruire un corretto ragionamento clinico nella FSCS, pertanto è fondamentale indagare alcune caratteristiche personali del paziente con sospetto di frozen shoulder.

A livello epidemiologico infatti, risulta prevalente in una popolazione di età compresa tra i 40 ed i 65 anni, inoltre sembrerebbe che i pazienti con: diabete, problematiche tiroidee e problemi metabolici abbiamo un rischio aumentato di sviluppare questa condizione (15–19).

Durante la prima visita, tipicamente i pazienti riportano:

  • Dolore notturno
  • Dolore che varia in relazione ai movimenti in una prima fase, poi costante
  • Dolore che non varia con l’assunzione di FANS
  • Insorgenza insidiosa e graduale
  • Restrizione dei movimenti
  • Dolore nella regione antero-laterale di spalla (4,15)

La vera difficoltà nel diagnosticare precocemente la frozen shoulder risiede nel fatto che tutte le caratteristiche precedentemente riportate, sono comuni a quasi tutti i quadri di shoulder pain, quindi il paziente andrà monitorato frequentemente nella fase iniziale.

L’esame obiettivo può far emergere:

  • ROM ridotto
  • Ridotto trofismo muscolare
  • Pattern di movimento alterato
  • Dolore nella palpazione del processo coracoideo
  • test di rotazione esterna a braccio addotto positivo per una riduzione di ROM di 30° o superiore al 50% del controlaterale (Wolf Ancar 2013)

Gli esami diagnostici che comunemente vengono prescritti per la Frozen Shoulder sono l’RX e la risonanza magnetica.

L’RX può essere utile per escludere problematiche più gravi ma che possono mimare una spalla congelata (20).

La risonanza magnetica può essere utilizzata per escludere la presenza di tendinopatia della cuffia dei rotatori o di altre problematiche della spalla. In pazienti con la FSCS potrebbero essere presenti dei segni di iper-intensità dei legamenti gleno-omerale inferiore, coraco-omerale e delle strutture dell’intervallo dei rotatori(21). La risonanza magnetica non dovrebbe essere utilizzata come esame di routine nei pazienti con sospetta FSCS, ma la prescrizione di questa dovrebbe essere limitata a quei pazienti con sintomi che sottendono una patologia strutturale o molto prolungati nel tempo (22).

Sintomi della frozen shoulder contracture syndrome

L’evoluzione della spalla rigida primaria può essere classificata in 3 fasi, caratterizzate da segni e sintomi differenti:

  • Fase di congelamento: caratterizzata da dolore molto importante e una progressiva riduzione della mobilità in assenza di traumi, può durare fino a nove mesi dall’esordio dei sintomi.
  • Fase congelata: caratterizzata da un’importante riduzione della mobilità su tutti i piani, in particolare in rotazione esterna, con una riduzione del dolore rispetto alla prima fase, può durare anche oltre 1 anno dall’esordio dei sintomi.
  • Fase di scongelamento: caratterizzata da un miglioramento della sintomatologia dolorosa e della mobilità, la risoluzione totale dei sintomi può essere anche superiore ai due anni(23).

Nell’attività clinica una divisione così netta tra le varie fasi della malattia non è possibile, ma sarà importante capire se il paziente si trova in una fase pain predominant o stiff predominant.

La fase dove il dolore è più impattante per il paziente rispetto alla rigidità, sarà fondamentale, seppur molto difficile, inquadrare correttamente il problema rispetto ad altre problematiche, per migliorare la prognosi del paziente, infatti sembrerebbe che i maggiori miglioramenti grazie al trattamento fisioterapico avvengano nella prima fase (24).

La fase invece dove la rigidità è superiore rispetto al dolore è chiaramente più semplice da individuare per noi, però è significa che la patologia è in uno stadio più avanzato e quindi con una prognosi più lunga.

Prognosi

Purtroppo la frozen shoulder è una sindrome con una prognosi lunga e non sempre favorevole. Il 50% dei pazienti potrebbero infatti avere dei sintomi anche a distanza di anni dall’esordio della patologia, pertanto è fondamentale un corretto inquadramento con successivo trattamento adeguato, infatti la risoluzione spontanea della capsulite adesiva è ancora dibattuta in letteratura (24,25), mentre un approccio in una fase iniziale, come detto nel precedente paragrafo, è fondamentale. La presenza di uno o più dei fattori successivamente riportati, può determinare un rallentamento del processo di guarigione:

  • età < 60 anni
  • braccio dominante
  • elevata disabilità e dolore all’esordio
  • comorbidità
  • diabete (2,25,26)

Trattamento della Frozen Shoulder

Il trattamento della Frozen Shoulder è, come molte problematiche muscolo-scheletriche, di tipo multidisciplinare.

Una componente spesso sottovalutata ma fondamentale nella gestione di questa problematica è l’educazione.

La depressione e la frustrazione sono molto forti in questi pazienti (27), pertanto è determinante educare la persona rispetto al suo processo patologico, in modo da abbattere l’apprensione, gestire la fretta nel ritornare a svolgere le attività quotidiane, ridurre l’ansia e la frustrazione circa il problema e aumentare la compliance al trattamento (28–30).

Quale trattamento raccomanda la letteratura?

Negli Stati Uniti è stata condotta un survey, che ha coinvolto sia medici che fisioterapisti, in cui è emerso che il trattamento conservativo e la fisioterapia siano gli interventi preferiti e maggiormente utilizzati dagli intervistati, ma che comunque la gestione della FSCS è differente a seconda della fase della patologia (31).

A breve termine la migliore possibilità per agire sul dolore del paziente sembrerebbe essere tramite le infiltrazioni di corticosteroidi intrarticolari, pertanto sarà importante indirizzare il paziente ad un medico (ortopedico o fisiatra). Il trattamento che ha la maggiore possibilità di essere efficace a medio termine (1/2 mesi) è la riabilitazione, infatti l’associazione tra trattamento infiltrativo e fisioterapia sembrerebbe avere un effetto aggiuntivo rispetto alla sola infiltrazione, al placebo e alla sola fisioterapia. Soprattutto nella fase algica, l’infiltrazione porta un grosso beneficio in termini di dolore e funzionalità(32).

A breve termine infatti la fisioterapia (terapia manuale ed esercizio) viene messa in forte dubbio rispetto al peso delle infiltrazioni di cortisone (33), infatti prove di qualità moderata mostrano che una combinazione di terapia manuale ed esercizi per 6 settimane comporta un miglioramento inferiore rispetto all’iniezione di corticosteroidi (34).

Come è risaputo però, la terapia manuale e l’esercizio sono molto importanti nella gestione dei disturbi muscolo-scheletrici, pertanto anche nel trattamento della frozen shoulder hanno la loro rilevanza.

Le mobilizzazioni articolari, sembrerebbero utili nel migliorare il dolore, il ROM e la funzionalità nei pazienti con frozen shoulder. È importante valutare la direzione, la frequenza, l’ampiezza ed il dolore del paziente nell’applicazione delle diverse tecniche manuali.

Con buona probabilità i pazienti potrebbero rispondere meglio a delle tecniche che utilizzano maggiormente la direzione antero-posteriore, in particolare nel recupero dell’abduzione e della rotazione esterna (35,36).

La frequenza e l’ampiezza delle tecniche manuali devono essere compatibili con l’irritabilità del paziente, anche se sembrerebbe che tecniche ad alta intensità (grado 3 Maitland) migliorino maggiormente l’abduzione passiva e la rotazione esterna attiva e passiva rispetto a tecniche a bassa/moderata intensità (grado 1 e 2 Maitland) (35,37).

Il dolore da parte del paziente dovrebbe essere ai limiti del tollerabile e comunque il più possibile vicino all’end range (35,38).

Riassumendo quindi le tecniche di terapia manuale dovrebbero essere:

  • con moderato dolore
  • in end range
  • sostenute nel tempo
  • in direzione antero-posteriore

L’esercizio nella gestione della capsulite adesiva è utile, anche se non è ancora possibile definire con certezza la posologia ed il dosaggio. L’esercizio terapeutico associato ad un programma con terapia manuale e stretching, sembrerebbe essere più efficace rispetto al solo esercizio (39).

Non è chiaro il tipo di esercizio migliore da somministrare, sembrerebbe però che gli esercizi scapolo-toracici e per il rinforzo della cuffia dei rotatori sembrerebbero utili nel migliorare il dolore e la funzionalità (40,41).

Lo stretching è un alleato importante nel migliorare il ROM nei pazienti con FSCS.