Riabilitazione dell’Incontinenza Urinaria
Ecco una guida per il fisioterapista sulla valutazione e gestione dell'incontinenza urinaria.

L’incontinenza urinaria (IU) è definita come “qualsiasi perdita involontaria di urina” [1]; colpisce maggiormente le donne che gli uomini, ma a causa del coinvolgimento della sfera intima è una disfunzione ancora sottostimata per cui i dati sulla sua prevalenza risultano essere ancora molto incerti [2]. Quello che è certo è che tale problematica ha importanti conseguenze negative sulla qualità della vita della persona, che può trovarsi a limitare le attività sociali, i rapporti sessuali e l’attività fisica, con ripercussioni sull’autostima e sull’umore fino il raggiungimento di problematiche come ansia e depressione. [3]
Laddove il problema venga appunto individuato ed esposto allo specialista, un percorso riabilitativo composta soprattutto dal Pelvic Floor Muscle Training (PFMT) può curare o migliorare i sintomi dell’incontinenza urinaria, riducendo il numero e la quantità delle perdite. [4] [5]
L’obiettivo del PFMT è quello di educare il paziente alla contrazione volontaria del pavimento pelvico (PFM) con conseguente restringimento dell’elevatore dell’ ano, aumento della MUCP (Maximal urethral closure pressure) e chiusura dell’uretra, riduzione fino al 21% della lunghezza muscolare, escursione del pavimento pelvico in direzione cranio ventrale, maggior resistenza al movimento verso il basso e alla dilatazione ed inibizione nel detrusore vescicale [6] [7] [8] [9] [10]
Cause e Tipi di Incontinenza Urinaria
La fisiopatologia dell’incontinenza urinaria si può deputare, in generale, ad una perdita di equilibrio tra la pressione presente all’interno della vescica e quella che lo sfintere uretrale riesce ad esercitare sull’uretra, impedendone la chiusura completamente o parzialmente.
I fattori di rischio che la letteratura cita nella comparsa dell’incontinenza urinaria sono:
- Genere: le donne sono più coinvolte rispetto agli uomini per cause di tipo anatomico (es. la minor lunghezza dell’uretra, anatomia del pavimento pelvico, gravidanze), anche se la percentuale tra gli uomini potrebbe essere verosimilmente sottostimata per mancanza di dati.
- Età: con l’avanzare dell’età aumenta il rischio di incontinenza urinaria in quanto avviene un deterioramento del tessuto connettivo, nervoso e muscolare del pavimento pelvico e ci possono essere concomitante deterioramento cognitivo con minor controllo degli sfinteri ed immobilità.
- Menopausa ed ipoestrogenismo: l’atrofia genitale e dello sfintere uretrale sono da considerarsi fattori di rischio.
- Etnia: le donne bianche soffrono di incontinenza urinaria tre volte di più delle donne nere, a causa della differente struttura connettivale e muscolare.
- Obesità: soprattutto per le forme da stress e mista.
- Parto: il parto vaginale è correlato alle forme da stress e miste a causa del trauma perineale al quale è associato. Tuttavia, anche le donne che partoriscono con parto cesareo soffrono di incontinenza urinaria più frequentemente delle nullipare, in quanto la stessa gravidanza stressa il pavimento pelvico per fattori pressori ed ormonali correlati.
- Fattori uroginecologici: prolasso degli organi pelvici, ipotono dei muscoli del pavimento pelvico, chirurgia ginecologica, cistiti ed infezioni del tratto urinario.
- Altre cause: cardiopatia, diabete mellito, deterioramento da Parkinson, demenza, ictus, farmaci, abuso di alcol e fumo di sigaretta.
Secondo la classificazione definita dall’ICS (International Continence Society), possiamo suddividere le tipologie di incontinenza urinaria secondo un criterio sintomatico:
- incontinenza urinaria da sforzo: è la perdita involontaria di urina associata a sforzi fisici che provocano un aumento della pressione intraddominale (es. tossire, ridere, correre); nello specifico, si realizza uno squilibrio tra la pressione intravescicale e la resistenza uretrale a causa di ipermobilità dell’uretra, che quindi si trova in una posizione anatomica alterata, o di deficit dello sfintere uretrale. È più frequente nelle donne, rara invece negli uomini che ne soffrono essenzialmente in caso di chirurgia prostatica.
- Incontinenza urinaria da urgenza: è la perdita involontaria di urina accompagnata o preceduta da urgenza, cioè dalla comparsa improvvisa di uno stimolo intenso e improcrastinabile. La causa è la contrazione involontaria del detrusore vescicale: quando questo segno è visibile all’esame urodinamico, si parla di vescica iperattiva neurologica o idiopatica. È la forma più comune negli anziani sopra i 75 anni, soprattutto uomini (40-80%).
- Incontinenza urinaria mista: è la perdita involontaria di urina associata a sforzo e/o ad urgenza. Il 30-40% delle donne affette da incontinenza urinaria, soffrono della forma mista.
- Incontinenza urinaria continua (overflow): è la perdita involontaria di urina continua; è associata a fistole, apertura ectopica dell’uretra o deficit uretrale intrinseco grave.
- Enuresi: perdita involontaria di urina durante il sonno
- Incontinenza urinaria incosciente: perdita involontaria di urina in assenza di stimolo ed indipendentemente da qualsiasi sforzo fisico. È essenzialmente visibile nella popolazione geriatrica ed è dovuta ad ostruzione grave del basso tratto urinario (iperplasia prostatica, sclerosi del collo vescicale) o a causa di acontrattilità del detrusore da causa neurologica.
Esistono infine forme di incontinenza occasionale, ad esempio la perdita di urina durante il coito oppure con la risata (giggle incontinence). Il gocciolamento post minzionale è invece la perdita involontaria di alcune gocce di urina al termine della minzione, solitamente prima di uscire dal bagno. [11] [12]
La Valutazione Clinica del Paziente
Una guida nella valutazione del paziente affetto da incontinenza urinaria viene dalla International Consultation on Incontinence (ICI) (Abrams, 2021) e dalle linee guida EAU sull’incontinenza urinaria negli adulti e comprende:
- Storia clinica: nonostante la mancanza di evidenze formali, esiste un consenso universale sul fatto che raccogliere la storia anamnestica dovrebbe essere il primo passo nella valutazione dell’incontinenza urinaria. È fondamentale indagare tutta la storia e i sintomi delle differenti funzioni del pavimento pelvico (urologica, ginecologica, coloproctologica) e i fattori di rischio correlati alla comparsa di incontinenza urinaria; l’anamnesi deve includere dettagli sul tipo, timing e gravità delle perdite e presenza di sintomi delle basse vie urinarie della fase di riempimento e svuotamento, in modo da poter categorizzare il tipo di IU e/o l’eventuale necessità di invio ad altro specialista. Si potrebbero riscontrare difficoltà nella raccolta anamnestica, in quanto gli aspetti indagati riguardano la sfera intima e personale dell’individuo e potrebbero essere condizionati da aspetti culturali e sociali; tuttavia, è importante trasmettere al paziente la consapevolezza che alcune abitudini da loro considerate normali o di poca importanza (come ad esempio urinare senza stimolo o trattenere molto l’urina), potrebbero invece essere importanti nella gestione del problema e nella progressione dei sintomi. Il paziente dovrebbe inoltre essere interrogato su altre condizioni di salute (anche traumi o dolori muscolo scheletrici) e sulle terapie farmacologiche in atto.
- Un corretto esame obiettivo dovrebbe includere la valutazione addomino-perineale comprensiva di osservazione visiva e valutazione manuale dell’area pelvica. L’ispezione visiva viene eseguita con il paziente in posizione ginecologica, vengono osservati: condizione della pelle e delle mucose, trofismo, rossori, eventuale presenza di cicatrici perineali o di prolassi ed infine viene osservata la contrazione volontaria del pavimento pelvico, ad evidenziare anche eventuali compensi sia a livello pelvico che addominale. La valutazione manuale viene eseguita per via endovaginale nelle donne o endoanale negli uomini, inserendo un dito o due: si valutano i parametri dell’attività motoria del pavimento pelvico (forza, endurance, rilassamento, coordinazione), tono e trofismo (Bø, 2007). Per via endocavitaria è possibile valutare anche la presenza di eventuale dolore mio fasciale e trigger points (Travell, 1996). A completare l’esame obiettivo si esegue una valutazione dei riflessi indicativi dell’integrità dei metameri S2-S4: si valutano il riflesso anale con uno sfioramento dell’ano al quale normalmente segue una contrazione dello sfintere anale esterno, il riflesso bulbo cavernoso stimolando esternamente la clitoride o il glande ed il riflesso addomino-perineale, per cui la contrazione del pavimento pelvico dovrebbe accompagnare un colpo di tosse. Infine, la valutazione della sensibilità delle radici S2-S5 viene eseguita con il dito o un cotton fiock passato nelle diverse zone dell’area perineale, a destra e a sinistra.
Nella valutazione, le linee guida EAU citano anche:
- Questionari: questionari sintomatologici, scale, indici, misure di risultato riportate dal paziente, misure della qualità di vita correlata allo stato di salute; il loro utilizzo viene tuttavia limitato poiché gli studi che ne valutano la validità scarsamente riguardano pazienti con incontinenza urinaria; alcuni questionari riescono a discriminare la tipologia di incontinenza urinaria nelle donne, ma non negli uomini, altri possono essere utilizzati per misurare il cambiamento dei sintomi dopo il trattamento, pur non essendo però sufficientemente sensibili. (ICUD, 2012)
- Diario minzionale: è un sistema semi obiettivo di quantificazione di sintomi come la frequenza degli episodi di incontinenza urinaria. Essi quantificano anche variabili urodinamiche, quali volume vuotato, il volume nelle 24 ore o il volume urinario totale notturno. I diari possono essere impiegati anche per monitorare la risposta ad un trattamento e sono ampiamente utilizzati nei trial clinici.
- Analisi delle urine o delle infezioni alle vie urinarie (IVU): non di competenza fisioterapica, indicano la presenza di infezione delle vie urinarie, proteinuria, ematuria o glicosuria che richiedono ulteriore valutazione medica. L’incontinenza urinaria può infatti verificarsi durante un’IVU sintomatica, così come un’incontinenza urinaria pre esistente può peggiorare nel corso della infezione.
- Ecografia vescicale: misura l’eventuale residuo vescicale post minzionale, cioè la quantità di urina che permane in vescica dopo la minzione; indica una scarsa efficacia nello svuotamento ed è importante poiché può peggiorare i sintomi di incontinenza urinaria
- Esame urodinamico: sconsigliato di routine in caso di trattamento per incontinenza urinaria non complicata
- Pad test: ha l’obiettivo di quantificare la perdita di urina. Si pesa un pannolino asciutto, quindi lo si fa indossare al paziente per un certo periodo di tempo durante il quale vengono effettuati alcuni sforzi per provocare l’eventuale incontinenza ed infine viene pesato nuovamente il pannolino, quantificando la perdita. Esiste una forma breve di 1 ora ed una della durata di 24 ore; l’utilità del pad test nel quantificare la gravità e nel predire l’esito del trattamento è incerta, sebbene i primi test post operatori possano predire la continenza futura negli uomini sottoposti a prostatectomia. Il pad test è responsivo ai cambiamenti dopo terapie efficaci. Non ci sono evidenze che un pad test sia superiore ad un altro.
- Imaging: non di competenza fisioterapica, comprende risonanza magnetica ed ecografia; ha la funzione di migliorare la comprensione di anomalie anatomiche o funzionali che potrebbero causare l’incontinenza urinaria. Viene comunque raccomandato di non usare di routine gli esami di imaging diagnostico in caso di valutazione per incontinenza urinaria.
Tecniche di Riabilitazione per l’Incontinenza Urinaria
Diverse reviews raccomandano il PFMT come trattamento di prima scelta per la riabilitazione dell’incontinenza urinaria [13]. In fase valutativa si verifica la capacità e lo stato dei muscoli del pavimento pelvico. Solitamente, se il deficit è l’ipovalidità allora è importante l’esecuzione di contrazioni volontarie massimali, di endurance con contrazioni submassimali da 3 a 10 secondi, e la velocità di contrazione-rilassamento [14] Si prosegue poi con l’ impostazione un programma riabilitativo sia ambulatoriale che domiciliare che dovrà essere eseguito sia in autonomia (anche in modalità intravaginale) che durante la seduta di trattamento con la supervisione del fisioterapista il quale utilizzerà la modalità peri o intravaginale per verificarne l’efficacia della contrazione. Il programma deve continuare per un minimo di 6 mesi ai fini della riuscita del trattamento [15] [16] [17] e secondo la review della Cochrane Library (Hay Smith 2001) è fondamentale eseguire sedute settimanali con il fisioterapista per raggiungere un miglior risultato.
In qualsiasi tipo di contrazione, soprattutto nelle prime sedute è bene specificare al paziente il tipo di movimento da ricercare, ovvero una chiusura ed una risalita del pavimento pelvico e se necessario utilizzare immagini motorie appropriate che possono facilitarne la giusta esecuzione. In fase di acquisizione delle capacità motorie la contrazione deve avvenire senza compensi di altri gruppi muscolari (glutei, adduttori ed addominali) e con una respirazione regolare.
- Biofeedback:
L’utilizzo del biofeedback può portare beneficio in questo contesto solo se associato all’esercizio terapeutico; altri studi ne hanno dimostrato un effetto positivo, ma il limite in questi studi è stato il non aver preso in considerazione il numero totale di sedute che venivano svolte tra chi eseguiva solo la PFMT e chi le eseguiva entrambe. [18] [19]
- Elettrostimolazione
L’effetto dell’elettrostimolazione è ancora poco chiaro; sembra che se accompagnato ad un PFMT il trattamento sia più efficace, ma sono necessari ulteriori studi a riguardo.
- Terapie comportamentali:
Il primo obiettivo del trattamento, da introdurre già in prima seduta è l’educazione del paziente al “THE KNACK” ovvero la contrazione volontaria del PFM che la persona deve eseguire prima di ogni aumento di pressione intraddominale, e che in fase valutativa può essere simulato richiedendo un colpo di tosse (in modalità intra e/o extravaginale); tale metodica riduce la perdita di urina del 98-73% e risulta quindi essere molto efficace ed in grado di agire subito sulla perdita. [21]
Il Bladder training prevede una serie di tecniche e di esercizi atti a ritardare il momento della minzione e quindi ad aumentare l’intervallo di tempo trascorso tra una minzione e l’altra. Può quindi essere utilizzato per educare il paziente ad un adeguato svuotamento vescicale sulla base della stesura di un primo diario minzionale già citato in precedenza.
L’importanza di un Piano di Trattamento Personalizzato
L’esercizio, come la valutazione, può essere eseguito in diverse modalità: intravaginale, anale, o perivaginale a seconda del tipo di paziente, problematica e fase di trattamento. Inizialmente è consigliabile la posizione ginecologica modificata per la donna: supina, ginocchia flesse ed abdotte, mentre per l’uomo e per la valutazione anale è da adottare il decubito laterale con le ginocchia flesse; laddove la contrazione non sia di facile esecuzione il fisioterapista può eseguire una pressione in direzione infero-laterale per usufruire del riflesso di stiramento. Il trattamento deve poi progredire ed in una fase successiva verranno eseguiti gli esercizi anche in posizione seduta ed in piedi nelle diverse modalità descritte prima (intravaginale, anale o perivaginale). Una volta acquisita la capacità contrattile si passerà ad attività più dinamiche, come ad esempio la posizione quadrupedica, di richiamo del gesto atletico o di qualsiasi altra situazione in cui si presenta il sintomo (es: sollevamento di un peso). Man mano che il trattamento prosegue, per monitorare i sintomi è possibile usare il “Pad Test” (già citato in precedenza nella fase valutativa) ed il diario dei sintomi [22]; La somministrazione dei questionari all’inizio ed alla fine del trattamento può mettere in luce i progressi raggiunti con il trattamento; quelli maggiormente raccomandati sono: l’International Consultation on Incontinence Questionnaire (ICIQ) e l’Incontinence Quality of Life Scale (I-QOL).
Ruolo del Fisioterapista nella Riabilitazione dell’Incontinenza Urinaria
In primis il paziente deve essere informato a proposito della funzione vescicale, dell’anatomia e del funzionamento del pavimento pelvico e dei suoi organi annessi; il fisioterapista può fare tutto ciò utilizzando dei modelli anatomici per rendere il tutto più chiaro al paziente. Inoltre, anche in questo caso la parte educativa deve considerare lo stato di salute del paziente ed il suo stile di vita, come vedremo in seguito. Essere a conoscenza del problema non sottintende ad una buona aderenza al trattamento con i cambiamenti del proprio stile di vita che ne dovrebbero derivarne: sta nel fisioterapista comprendere anche quali siano le credenze, le esperienze e le aspettative della persona che arriva in trattamento e assieme ad essa trovare la giusta strategia. Non dimentichiamoci che la presa in carico del paziente comprende anche altri aspetti, che se non considerati fino in fondo potrebbero minare la buona riuscita del trattamento tra cui alimentazione, attività sportiva, stato emotivo, problematiche sociali conseguenti a tale problematica…: l’approccio bio-psico-sociale in equipe con il coinvolgimento di diverse figure sanitarie è altamente consigliato.
Benefici della Riabilitazione: Risultati e Studi Clinici
Le già citate linee guida 2021 indicano la via conservativa e la fisioterapia come scelta di prima linea nel trattamento dell’incontinenza urinaria.
Per valutarne i benefici, scegliamo di suddividere la popolazione di pazienti in sottogruppi, in quanto è difficile discutere in termini generali e validi per tutte le tipologia di pazienti.
- Atlete: le atlete donne sono una popolazione ad alto rischio di sviluppare disfunzioni del pavimento pelvico, soprattutto incontinenza urinaria (68.6%) da sforzo (54.9%); una revisione del 2022 (Giagio S.) indaga quale possa essere l’intervento migliore per prevenire o ridurre i sintomi dell’IUS nelle donne atlete (gli studi si riferiscono soprattutto a sport come la corsa e la pallavolo). Dalla ricerca risulta che in questa popolazione di pazienti, i risultati più significativi in termini di riduzione della quantità e frequenza delle perdite, vengono da un approccio conservativo: PFMT, comprensivo di esercizi domiciliari e di compiti attinenti allo sport svolto; educazione riguardo all’anatomia e funzione del pavimento pelvico, istruzione sulla contrazione corretta del pavimento pelvico e sul Knack, meccanismi di insorgenza dell’incontinenza urinaria da sforzo e gestione delle pressioni intraddominali durante lo sport; interventi su abitudini e stile di vita, Bladder training e consumo di liquidi prima e dopo l’allenamento; tecniche di respirazione sinergiche alla contrazione del pavimento pelvico; educazione sull’utilizzo di ausili come salvaslip, pessari, tamponi; elettrostimolazione; eventuale modifica del gesto sportivo o dell’allenamento soprattutto nelle prime fasi del trattamento per IUS; approccio multidisciplinare con intervento del ginecologo, fisioterapista, allenatore, nutrizionista. [23]
- Gravidanza: una revisione sistematica del 2014 ha indagato l’efficacia della fisioterapia del pavimento pelvico nella prevenzione e trattamento dell’incontinenza urinaria durante la gravidanza; dai 22 RCT analizzati, si osserva che l’allenamento dei muscoli del pavimento pelvico è efficace nel prevenire e trattare l’incontinenza urinaria durante la gravidanza e dopo il parto, nonostante siano eterogenei per quanto riguarda metodiche di intervento e criteri di inclusione/esclusione. In generale, sembra essere consigliato un programma di contrazioni massimali della durata di almeno 8 settimane con la supervisione di un fisioterapista specializzato. [24]
- Post Partum: le linee guida della Canadian Society of Obstetrics and Gynecology (Davies GAAL, 2018) raccomandano di iniziare gli esercizi per il pavimento pelvico già nell’immediato post parto e di consultare il prima possibile un professionista per discutere del rischio di insorgenza di incontinenza urinaria e disfunzioni perineali. Una review del 2023 ha analizzato gli studi recenti riguardo alla prevenzione e/o trattamento della IUS nel post parto: il training dei muscoli del pavimento pelvico sembra essere l’intervento migliore in questi pazienti, eseguito per un periodo che gli studi indicano tra le 4 settimane e i 6 mesi; il programma dev’essere eseguito giornalmente a casa dalla paziente ma sono necessarie anche delle sedute supervisionate dal fisioterapista con lo scopo di assicurarsi che la contrazione sia corretta (si sconsigliano quindi gli interventi “fai-da-te”). Gli studi sembrano inoltre indicare come un allenamento globale anche dei muscoli del tronco possa essere utile per ripristinare la corretta gestione delle pressioni intraddominali. La fisioterapia sembra essere efficace nel ridurre i parametri della IUS e nel ridurne l’impatto sulla qualità della vita della paziente ed è importante segnalare che l’adesione al trattamento sembra essere fondamentale per ottenere dei risultati positivi. [25]
- Menopausa: una revisione del 2022 indaga l’efficacia della fisioterapia nel trattamento dell’incontinenza urinaria nelle donne dopo la menopausa. Gli studi sembrano indicare come la fisioterapia del pavimento pelvico sia efficace nel ridurre i parametri dell’incontinenza urinaria (non viene specificato se si intenda la quantità o la frequenza delle perdite), ma sembra non esserci consenso univoco su quale sia l’intervento più efficace nel trattamento della IUS in questa popolazione di pazienti: PFMT, coni vaginali, biofeedback, elettrostimolazione, radiofrequenza, in quanto gli studi di alta qualità sono limitati e gli interventi indagati eterogenici. [26]
- Prostatectomia: la IUS è una comune conseguenza degli interventi di prostatectomia radicale. Una revisione Cochrane (2015) cita due risultati discordi: alcuni studi sostengono la fisioterapia nel trattamento della IU in questi pazienti, altri invece non la consigliano in quanto i sintomi migliorano spontaneamente nel tempo. Un RCT del 2019 ha indagato se un intervento di PFMT nel pre operatorio e immediato post operatorio per prostatectomia radicale, possa essere consigliato per un miglioramento rapido dei sintomi di IUS, con conseguente beneficio nella qualità di vita di questi pazienti. Lo studio evidenzia come pazienti sottoposti ad un training intensivo del pavimento pelvico anche nel periodo pre operatorio (ad esempio 120 contrazioni massimali al giorno contro le 30 del gruppo di controllo, contrazioni in varie posizioni anche antigravitarie contro la posizione supina del gruppo di controllo), mostrano minor quantità delle perdite dopo l’intervento, tempi di recupero della continenza più brevi e una qualità di vita migliore rispetto ai pazienti che non ricevono queste indicazioni prima di operarsi. [27]
Prevenzione dell’Incontinenza Urinaria
Anche nel caso della riabilitazione del pavimento pelvico il miglior consiglio che si possa dare ai nostri pazienti è di essere costanti nel prendersi cura di se stessi (stile di vita, attività fisica, sonno, esercizi assegnati). Tutti gli studi parlano di un periodo di trattamento che va da un minimo di 6 settimane ad un massimo di 6 mesi; gli studi che hanno analizzato i follow-up anche a 5 anni di distanza dall’inizio del trattamento hanno messo in luce un buon tasso di soddisfazione e di non-chirurgia; i soggetti degli studi hanno continuato a svolgere gli esercizi con costanza o li hanno ripresi in mano al momento del bisogno. Inoltre molte delle donne ammette di essersi abituata ad utilizzare “the Knack” prima di ogni aumento di pressione addominale con netto beneficio.
Nell’indagare lo stile di vita del paziente, vanno presi in considerazione in particolare:
- Il fumo: può incrementare la possibilità di soffrire di incontinenza urinaria per una maggior probabilità di soffrire di tosse cronica e quindi per frequenti ed intensi aumenti della pressione intraddominale.
- Obesità e BMI: il sovrappeso e l’obesità sono stati identificati come due fattori di rischio per l’incontinenza urinaria nelle donne, infatti quelle obese sono più suscettibili a tale problematica rispetto a quelle normopeso. Una riduzione del peso corporeo sembra possa contribuire alla riduzione dell’IU [29]
- Idratazione e l’alimentazione: le persone che soffrono di incontinenza urinaria tendono spesso a diminuire l’introito idrico al fine di prevenire la manifestazione del sintomo; tale comportamento va investigato e nel tempo modificato anche per la salute intestinale come prevenzione alla costipazione, infezioni urinarie e disidratazione. L’incidenza di incontinenza urinaria sembra ridotta nelle persone che seguono un piano alimentare sano, comunque non ci sono evidenze relative a particolari cambiamenti alimentari nella prevenzione e nella gestione dell’incontinenza urinaria. Quello che invece merita attenzione è l’aspetto intestinale: la presenza di stipsi e costipazione infatti sono una condizione correlata all’incontinenza urinaria. [30] [31] [32]
- Sport ed esercizio fisico: l’aumento della pressione addominale tipica di alcuni sport, può contribuire ad alcune disfunzioni del pavimento pelvico e quindi anche all’incontinenza urinaria. Laddove ci fosse correlazione tra la perdita di urina e l’evento di incontinenza (es. Incontinenza atletica) va considerato il contesto sportivo della paziente. [23]
Un piccolo approfondimento merita l’attività sportiva: possiamo quindi affermare che l’attività fisica, soprattuto se ad alto impatto, è un fattore di rischio per l’incontinenza urinaria [33] e la prevalenza di incontinenza urinaria nelle atlete d’elité è molto elevata [34]. Come definiva la precedente definizione di incontinenza urinaria, tale problematica crea problemi di carattere igienico, sociale, ed oltre a ciò può contribuire negativamente diminuendo nettamente la performance sportiva o addirittura può portare alla rinuncia allo sport. Uno studio del 2006 di Caylet et al ha messo in luce come l’84% delle atlete con incontinenza urinaria non abbia mai esposto a nessuno questo propria problematica per una questione di imbarazzo.
Sebbene nessuno studio sia ancora stato condotto per valutare l’efficacia di un trattamento preventivo [33] [34], se il pavimento pelvico possiede una certa stifness è probabile che esso riesca a contrastare la pressione intraddominale che si crea durante l’attività sportiva [35], [36] e quindi forse una valutazione o comunque un dialogo tra atleta e staff medico potrebbero contribuire ad una miglior presa in carico dell’atleta.
Ricordiamoci che anche in ambito sportivo l’incontinenza urinaria non è una problematica solo femminile ma anche maschile. [37]
Conclusioni
Quindi le domande che ci potremmo porre è: si potrebbero prevenire le disfunzioni del pavimento pelvico (e quindi anche l’IU) prima che la problematica sorga? Le donne che presentano uno o più fattori di rischio potrebbero svolgere un PFMT precocemente in modo da evitare l’insorgenza della problematica? Le reviews riportano dati incerti a tal proposito: troppi e diversi criteri di inclusione e mancanza nel differenziare tra le donne pre e post parto; la gravidanza ed il parto sono un importante fattore di rischio per l’IU. Quel che è certo nel contesto della gravidanza, è che un PFMT può prevenire e ridurre in maniera significativa l’IU.
Molte delle domande che ci facciamo in riabilitazione non trovano risposta a causa di scarso numero e scarsa qualità negli studi, ma in primis il vero problema è che c’è un alta percentuale di persone che soffrono di incontinenza o di disfunzioni pelviche che non si sono mai rivolte a nessuno specialista per questione di imbarazzo, idea che la perdita in certi contesti sia normale, soluzione con l’uso del salvaslip ecc… Ci auguriamo che i progressi in questo ambito possano iniziare semplicemente da questo step, ovvero dalla comunicazione del problema ed dal superamento dei tabù che probabilmente costituiscono l’ostacolo più ambio in questo settore.
Infine speriamo che nel prossimo futuro venga convalidato un dinamometro specifico per un’adeguata e oggettiva valutazione del pavimento pelvico; negli ultimi anni questo tipo di strumento inizia ad essere utilizzato ma la sua validazione psicometrica non è ancora stata elaborata a causa di una difficoltà nel distinguere tra la forza dei muscoli del pavimento pelvico e la pressione intraddominale che si crea durante la misurazione.
FAQ sulla Riabilitazione dell’Incontinenza Urinaria
Domande comuni:
- “Quindi è normale?” – No. Le perdite involontarie di urina non sono mai normali, nemmeno in menopausa e nel post partum. Sono sempre campanello d’allarme di una situazione che va indagata e trattata adeguatamente; purtroppo siamo tutti vittime di una “normalizzazione” di questi sintomi, causata anche da pubblicità di salvaslip che promuovono la negazione del problema piuttosto che la sua soluzione. La percentuale che oggi conosciamo di persone affette da incontinenza urinaria è sicuramente ancora sottostimata per mancata diagnosi, a causa di fattori sociali e culturali che la considerano motivo di vergogna per cui si fa fatica a parlarne anche con il medico; tuttavia, è incoraggiante sapere che la divulgazione su questo tema è sempre più ricca e che la fisioterapia può essere una valida alleata per la sua completa risoluzione.
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“Per quanto dovrò fare gli esercizi?” – Non esistono protocolli a riguardo, tuttavia gli studi più validi prevedono un periodo di trattamento di almeno 8/12 settimane, combinando le sedute supervisionate e gli esercizi domiciliari, per ottenere dei risultati e un miglioramento dei parametri funzionali dei muscoli del pavimento pelvico. Inoltre, alcuni autori (K. Bø) consigliano di riprendere in mano gli esercizi ogni volta si stia vivendo una situazione di vulnerabilità e potenzialmente rischiosa per la ricomparsa dei sintomi (es. tosse, costipazione, gravidanza, lavori pesanti). Per quanto riguarda le norme comportamentali, invece, si consiglia di non abbandonarle mai del tutto, ma di farle rientrare tra le regole d’oro: Bladder training con gestione degli stimoli e tecniche di svuotamento e the Knack.
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“Per contenere le perdite cerco di bere di meno; è corretto?” – Sbagliato. L’introito d’acqua giornaliero deve rimanere invariato per garantire un buon funzionamento di tutto l’organismo (ca 1.5 l/die); con il diario minzionale è però possibile imparare a distribuire i liquidi nell’arco della giornata. La riabilitazione del pavimento pelvico farà il resto in termini di contenimento delle perdite.
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“Quindi ai miei figli/nipoti cosa devo insegnare?” – Alcune buone norme comportamentali possono essere insegnate fin da subito ai più piccoli: ad esempio a non trattenere troppo lo stimolo della pipì, a evitare quanto più possibile la pipì preventiva, ad usare un rialzo sotto ai piedi quando sono seduti sul wc in modo da evitare di dover spingere per “farla tutta”, a non fare la pipì in squat ma di munirsi di copri tavoletta usa e getta quando sono fuori casa.
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“Potrò riprendere a fare sport?” – Certo. Lo sport non è mai controindicato, poiché i benefici che porta a livello generale sono troppi per raccomandarne il contrario; tuttavia, è opportuno seguire un percorso specifico di riabilitazione del pavimento pelvico in caso di disfunzioni in questa sfera prima e durante il rientro all’attività, poiché il/la pz dovrà essere in grado di eseguire il gesto sportivo in sicurezza. Soprattutto nelle fasi acute del problema, si potrebbe richiedere una modifica o alcune limitazioni nello sport, ma l’obiettivo sarà quello di rientrare al livello precedente.
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“Soffro di perdite di urina dopo il parto, il medico mi consiglia di fare pilates per recuperare, è corretto?” – No. Nessuna disciplina o sport si può sostituire alla riabilitazione del pavimento pelvico seguita da un fisioterapista specializzato. Nonostante il pilates, la danza del ventre o lo yoga siano attività che portano l’attenzione e la percezione sull’area perineale rispetto ad altri sport, non sono assolutamente sostituti della riabilitazione per valutazione, tecniche e programmi.
- “L’incontinenza urinaria è un problema solo femminile?” – No. Nonostante la prevalenza tra le donne sia maggiore, sappiamo che anche gli uomini possono soffrire di incontinenza urinaria, soprattutto nella sua forma da urgenza. L’incontinenza urinaria da sforzo, invece, è pressoché tipica in chi esegue interventi di chirurgia prostatica.
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