Disturbi muscoloscheletrici indotti dall’uso/abuso di farmaci

Ecco una guida per il fisioterapista sui disturbi muscolo-scheletrici indotti dall'utilizzo di farmaci.

Disturbi muscoloscheletrici indotti dall'uso/abuso di farmaci

I disturbi muscoloscheletrici indotti dall’uso/abuso di farmaci sono molto frequenti. La quantità di effetti avversi ai farmaci (adverse drug reactions, di seguito ADRs) nella sanità pubblica è elevata tanto da costare la vita di 100.000 persone nel 1994 negli Stati Uniti d’America1. Ancora oggi, gli ADRs continuano a rappresentare un importante causa di patologie e mortalità (tanto che 1 paziente su 16 viene ricoverato in ospedale per questo motivo). Gli ADRs sono inoltre la causa di decesso dello 0,15% dei pazienti ricoverati. Il tutto potrebbe essere evitato attraverso una migliore educazione e conoscenza relative alle caratteristiche e agli effetti dei farmaci2

Questa sconvolgente premessa mette in luce quanto la conoscenza di potenziali link tra disordini muscoloscheletrici e uso di farmaci sia cruciale nella pratica clinica del fisioterapista. I disordini muscoloscheltrici indotti dall’uso e dall’abuso di farmaci sono caratterizzati da una complessa presentazione clinica, sebbene il dolore articolare e il dolore muscolare siano spesso gli unici sintomi lamentati dal paziente. 

A parità di farmaco somministrato, i disordini muscoloscheletrici conseguenti possono variare profondamente da un paziente all’altro sia a livello di presentazione clinica che a livello di severità a causa di differenti variabili (fattori genetici, fattori ambientali, dose del farmaco, durata della somministrazione)3. Una vasta gamma di farmaci presenta un link diretto tra somministrazione e sviluppo dei disordini muscoloscheletrici e reumatologici, mentre altri risultano essere casi isolati4

Partendo dall’assunto per cui la diagnosi differenziale fisioterapica è il risultato di un complesso processo di ragionamento clinico e presa di decisioni, diventa cruciale per il fisioterapista essere a conoscenza di potenziali disordini muscoloscheletrici causati dall’uso e dall’abuso dei farmaci

Il precoce riconoscimento di effetti avversi eviterebbe esami superflui, e l’identificazione dell’agente causale permetterebbe inoltre una rapida risoluzione della sintomatologia. Il fisioterapista deve quindi sempre considerare, nel delicato momento clinico del processo diagnostico, una potenziale origine iatrogena del disturbo muscoloscheletrico o reumatologico5

L’abitudine a un confronto interprofessionale col medico curante potrebbe inoltre permettere un migliore monitoraggio della terapia farmacologica e l’identificazione di percorsi preventivi o conseguenti all’uso di farmaci potenzialmente dannosi.  

Disturbi muscoloscheletrici indotti dall'uso/abuso di farmaci

Disturbi muscoloscheletrici indotti dall’uso/abuso di farmaci: Artropatie e Condropatie indotte da farmaci 

Gli antibatterici chinolonici sono una tipologia di farmaco antibiotico utilizzata per trattare serie infezioni pediatriche e dell’età adulta3,6. Esiste una correlazione tra antibatterici chinolonici (acido nalidixico) e fluorochinolonici con le lesioni cartilaginee soprattutto nelle articolazioni sottoposte al carico corporeo.

L’analisi di questo primo farmaco evidenzia una costante nella correlazione tra terapie farmacologiche e disordini muscoloscheletrici: maggiore è la durata di una terapia con potenziali effetti avversi muscoloscheletrici, maggiore sarà il rischio di sviluppare il disordine muscoloscheletrico. È infatti vero che, se la terapia con antibatterici chinolonici perdura per lungo termine (> 3 mesi), il rischio di sviluppare patologie cartilaginee e periarticolari arriva al 45%.

Le lesioni cartilaginee sono ancora più frequenti in pazienti che, oltre a questo farmaco, soffrono anche di fibrosi cistica7,8. Generalmente, i pazienti che fanno uso di tale farmaco, a causa delle proprietà condrotossiche e tendinotossiche dello stesso, tendono a sviluppare i sintomi condropatici (artralgia con o senza mialgia) associati a patologie extraarticolari (tendinopatie), generalemente dopo due settimane dalla somministrazione9,10. L’interruzione di questi farmaci determina una risoluzione dei sintomi tra le 2 settimane e i 2 mesi3,5,7

Il forte impatto che questa tipologia di farmaco ha sul sistema muscoloscheletrico ne ha relegato l’uso solo a serie patologie infettive dell’età pediatrica e adulta che non rispondono alle terapie conservative11

L’uso prolungato di farmaci anti-infiammatori non steroidei come il diclofenac, l’ibuprofene, il naprossene e il piroxicam sembrerebbe (anche se c’è necessità di altri studi sull’argomento) essere un fattore di rischio per un più rapido peggioramento dell’osteoartrite di anca e di ginocchio12

Un uso giudizioso delle infiltrazioni di corticosteroidi (non più di 4 infiltrazioni all’anno per articolazione) determina un rischio minimo di degenerazione articolare, ma sicuramente non previene la degenerazione cartilaginea5,13. Abusi della stessa sostanza corrispondono a un fattore di rischio per le condropatie.

Artriti Infiammatorie indotte da farmaci 

I diuretici sono la maggiore causa di iperuricemia iatrogena, la quale determina una riduzione di espulsione di acidi urici dal rene5,14. La condizione di iperuricemia è ancor più favorita in pazienti che hanno subito l’impianto di un organo da donatore14,15.  Nonostante la iperuricemia, gli episodi di gotta infiammatoria come effetto avverso di terapie diuretiche a lungo termine è raramente osservabile.

C’è una correlazione tra iperuricemia e lo sviluppo di tofi (deposizione di acidi urici intra o extra articolari che causa i tipici sintomi infiammatori). Tale conseguenza avversa ha spinto diversi ricercatori a suggerire un intervento farmacologico parallelo, basato sulla riduzione degli acidi urici, in pazienti che non possono rinunciare ai diuretici5

Anche i bifosfonati possono raramente indurre artriti infiammatorie come una pseudogotta. Le infiltrazioni di acido ialuronico, sebbene identificate come mezzo per trattare le osteoartiti di ginocchio, possono in alcuni casi sviluppare reazioni locali come dolore articolare o sinovite acuta che possono mimare un’infezione articolare16,17.

Tra l’1 e il 4% dei pazienti che subiscono un’infiltrazione intrarticolare di corticosteroidi sviluppa un processo infiammatorio localizzato dopo poche ore dall’infiltrazione, che si risolve spontaneamente con farmaci antiinfiammatori non steroidei (di seguito NSAIDs) e ghiaccio. Dal momento che l’artrite settica è la complicazione maggiormente temuta post infiltrazione, bisogna identificare i soggetti maggiormente a rischio di questa rara complicazione, che sono i pazienti reumatici che ricevono farmaci citotossici5,18.

A seguito di vaccinazioni anti-epatite B e anti-Rubella (o Bacillus Calmette-Guèrin – BCG), diversi studi (case reports) hanno dimostrato un link tra questo tipo di vaccinazioni e lo sviluppo di mono e poli artriti3. Più raramente, ma sempre documentate, sono le artriti infiammatorie a seguito di vaccini contro l’influenza, il tetano, il tifo, parotite, morbillo e vaiolo19

Le citochine tra cui l’interferone alfa, usate contro l’epatite così come anti-virali e anti-tumorali, a causa del loro effetto immunomodulante, possono portare a patologie autoimmuni come patologie tiroidee e (anche se molto raramente) a patologie del tessuto connettivo (Lupus Eritematoso Sistemico)20. L’interferone potrebbe indurre artralgia, poliartriti infiammatorie ed esacerbare una artrite preesistente da epatite C. Questi eventi avversi possono essere curati tramite l’uso di NSAIDs o prednisone o con l’interruzione della terapia con interferone. 

Anche l’interferone β, utilizzato nella cura della sclerosi multipla, può causare artriti infiammatorie. L’interleuchina 2 e l’aldelsleuchina (che appartengono alla classe delle citochine), utilizzate come terapia nei melanomi maligni e nei carcinomi metastatici renali, possono indurre artrite reumatoide, artrite psoriasica, spondilite anchilosante e sindrome di Reiter20. I Granulociti possono indurre dolore muscolare e osseo e causare re infiammazioni dell’artrite reumatoide (specialmente in pazienti già affetti dalla Felty’s syndrome) e indurre poliartralgia e mialgia diffusa21.  

Pazienti che ricevono alte dosi di bifosfonati tendono ad avere sintomi parainfluenzali tra cui mialgia, artralgia e dolore osseo, che possono diventare disabilitanti soprattutto in pazienti già osteoporotici i quali possono arrivare a soffrire di poliartriti. Tutti questi sintomi tendono a sparire gradualmente o immediatamente dopo l’interruzione del farmaco. Dolore articolare, rigidità muscolare e gonfiore possono essere inoltre causati da pazienti che ricevono un sovraccarico di ferro trasfusionale22,23,24

Patologie del tessuto connettivo indotte da farmaci

Il 5% dei casi di Lupus Eritematoso Sistemico (di seguito LES) è indotto da farmaci (2.5 su 100.000). Questo si presenta generalmente con artralgia (90% dei casi), mialgia (50%), febbre, malessere e sierosite mentre le manifestazioni cutanee sono visibili solo nel 30% dei pazienti25. Anche in questo caso, l’uso prolungato (> di 1 mese) di determinate categorie di farmaci aumenta il rischio di sviluppo del LES.

I farmaci che inducono tale patologia sono di diverse categorie, ma l’idralazina, la procainamide e l’isoniazide, i farmaci antitiroidei, anti-tumor necrosis factor (di seguito anti-TNF), le statine, i fibrati e i beta antagonisti degli adrenocettori, che causano lo sviluppo di anticorpi antinucleari, detengono la maggiore casistica26. Nonostante tali farmaci possano portare lo sviluppo di anticorpi antinucleari, l’interruzione del farmaco è permessa solo se il paziente dovesse sviluppare anormalità ematologiche come la leucopenia o se dovessero aumentare gli indici di velocità di eritrosedimentazione27

La penicillamina con i suoi derivati (l’opronina), invece, risultano essere i farmaci che più frequentemente inducono polimiositi e dermatomiositi e, anche in questo caso, l’interruzione del farmaco determina un immediato ripristino delle condizioni di salute4,28

Esistono inoltre altri farmaci (anticorpi antinucleari e anticorpi anti-Scl-70) che possono indurre una sindrome simil sclerodermica (caratterizzata da rigidità e sclerosi della cute, fenomeno di Raynaud e mialgia), la cui interruzione determina la risoluzione della patologia29. La Bleomicina, i derivati della penicillamina, gli alcaloidi, i soppressori dell’appetito, gli anticorpi anti-ds-DNA (come gli agenti anti-TNF), l’etosuccimide, le citochine e il fosinopril sono tutti farmaci che possono determinare la genesi di patologie simil sclerodermiche30

Disturbi Periarticolari indotti da farmaci 

Le tendinopatie sono un disordine muscoloscheletrico molto comune nella pratica clinica del fisioterapista, e anche questa categoria diagnostica può essere indotta dall’uso e dall’abuso di determinate sostanze. Il fluorochinolone è il farmaco maggiormente studiato per i suoi effetti collaterali sulle patologie tendinee in particolare sul tendine d’Achille. Tale farmaco agisce sui tendini a causa del suo effetto tendinotossico che induce apoptosi delle cellule tendinee. È stimato che 3,2 casi su 1000 di tendinopatia Achillea e tra il 2 e il 6% delle rotture del tendine d’Achille in pazienti con più di 60 anni venga determinato dai chinolonici, soprattutto se gli stessi pazienti svolgono anche terapie cortisoniche e hanno problemi renali31,32.

Disturbi farmaco indotti: tendinopatia
Zona di dolore della tendinopatia achiellea

Generalmente, il tendine più affetto dalla loro azione è il tendine d’Achille; la tendinopatia può manifestarsi immediatamente dopo la prima dose ma anche dopo mesi, tende a essere bilaterale e la rottura totale del tendine (che se la tendinopatia non è indotta da farmaci tende a essere molto rara) è uno dei segni patognomonici dell’induzione da farmaco. Diventa imperativo interrompere la cura farmacologica ai primi segni di danno tendineo. Generalmente, l’uso di analgesici e l’interruzione del farmaco determinano una risoluzione della patologia entro pochi mesi33

La somministrazione orale, parenterale e soprattutto intrarticolare di corticosteroidi determina disordini tendinopatici, aspetto meno frequente per i corticosteroidi inalati o usati localmente. Sebbene ci siano fattori confondenti nella ricerca che si è occupata di questo topic, sembra però esserci una correlazione diretta tra questa tipologia di farmaci e lo sviluppo di tendinopatie soprattutto degli arti inferiori (patellare e achillea)34.  

Ci sono evidenze che suggeriscono che statine e fibrati, ovvero tutta la categoria dei farmaci ipolipidemizzanti (lipid lowering agent di seguito LLA), inducono tendinopatia che tende a risolversi dopo 1-2 settimane dall’interruzione della terapia. Anche i retinoidi sembrano essere responsabili dell’insorgenza di tendinopatia ed entesopatie34,35,36

Nella famiglia dei disturbi periarticolari, sempre di largo interesse e di comune riscontro nella pratica clinica del fisioterapista, ci sono anche le entesopatie. I retinoidi (acitretina e isotretinoina) sono una famiglia di farmaci utilizzati per la cura delle dermatosi croniche severe, derivati della vitamina A. L’ipervitaminosi cronica causata da una prolungata terapia con questo tipo di derivati può indurre entesopatie calcifiche, iperostosi e la patologia di Forestier37.

Le entesopatie che possono crearsi sono sia assiali (lungo il legamento longitudinale anteriore e posteriore della colonna) che periferiche e possono avere un riscontro radiografico. Anche in questo caso, maggiore è la durata della terapia farmacologica maggiore è la presenza di entesopatie sia in numero che in grandezza.

Il paziente può essere asintomatico ma con positività radiologica ma può anche essere sintomatico lamentando dolore, rigidità e riduzione del movimento. Al termine della terapia incriminata, le entesopatie tendono a stabilizzarsi. Nei bambini potrebbero anche determinare un ritardo dell’accrescimento osseo dovuto a una chiusura prematura delle cartilagini di accrescimento38.

Le calcificazioni periarticolari sono un potenziale effetto a lungo termine di infiltrazioni con corticosteroidi in particolare nelle articolazioni delle dita. Le stesse infiltrazioni di corticosteroidi consigliate per la cura delle discopatie a seguito di eruzione erniaria possono accelerare la degenerazione all’interno del disco e favorire la formazione di calcificazioni e quindi un peggiore dolore e una maggiore compressione nervosa39. È per questo motivo che tali tipi di infiltrazioni dovrebbero essere fortemente sconsigliate40.  

Un’altra patologia molto discussa in letteratura e di interesse fisioterapico risulta essere la Frozen Shoulder o capsulite adesiva. Tale patologia sembra essere favorita dall’uso di farmaci inibitori della proteasi (usati per la cura dell’HIV), fluorochinoloni, isoniazide e farmaci antiepilettici (in particolare i barbiturici)41,42. Questi ultimi due farmaci sembrano essere la causa di una Complex Regional Syndrome che colpisce anche la mano e il polso43. Anche la ciclosporina e il tacrolimus, specialmente in pazienti che hanno subito il trapianto di un organo, possono determinare dolore simmetrico delle epifisi e una distrofia del sistema nervoso simpatico44.

Disturbi ossei indotti da farmaci

Disturbi muscoloscheletrici indotti dall'uso/abuso di farmaci: patologie ossee e farmaci

Come precedentemente affermato, i bifosfonati, i granulociti, la ciclosporina e il tacrolimus possono essere la causa di dolore osseo ma anche altri farmaci possono indurre altri disturbi ossei specifici. 

Ad oggi l’uso prolungato di corticosteroidi è la causa secondaria maggiormente diffusa di osteoporosi, il che rende tale conseguenza prevedile ed evitabile45. La patofisiologia di tale disturbo indotto da farmaci deriva dall’effetto inibitorio diretto che questi hanno sull’azione degli osteoblasti, sulla riduzione di produzione di estrogeni e testosterone e su un aumentato effetto dell’ormone paratioideo, così come anche sull’induzione di uno squilibrio dei livelli di calcio che possono portare a iperparatiroidismo secondario46.

Per tutta questa serie di motivi, l’uso prolungato di corticosteroidi determina un peggioramento sia qualitativo che quantitativo della componente ossea e un elevato rischio di fratture, soprattutto a livello vertebrale, costale e pelvico dove è maggiore la componente trabecolare dell’osso47. Le variabili che determinano maggiore rischio sono la durata della terapia con corticosteroidi (> di 3 mesi), la dose giornaliera (5-7,5 mg per dose giornaliera), l’età del paziente e la menopausa45.

Pertanto, tali pazienti dovrebbero essere incentivati a svolgere una terapia preventiva sia farmacologica, con integrazione di calcio, vitamina D e assunzione di bifosfonati, sia sulle modifiche dello stile di vita (esercizio fisico sotto carico, cessazione del fumo e alcol, prevenzione delle cadute) per contenere il peggioramento qualitativo e quantitativo dell’osso48,49

Una delle categorie di farmaci maggiormente diffusi è quella degli anticoagulanti. Gli anticoagulanti, in particolare l’eparina, hanno un effetto negativo sulla componente ossea. Anche in questo caso, la dose giornaliera e la durata della terapia associata a fattori ambientali predisponenti e a stili di vita erronei sono le variabili che accelerano maggiormente il problema in questione. Il 2-3% dei pazienti che svolgono una terapia a base di eparina per lungo termine va incontro a frattura vertebrale. A parità di risultato anticoagulante, è pertanto consigliabile l’integrazione di vitamina K che non presenta questo tipo di effetti collaterali51,52

I pazienti con storia pregressa di tumore sono sempre più frequenti nella pratica clinica del fisioterapista; essere a conoscenza dei seguenti aspetti può essere un’arma fondamentale nel processo diagnostico. I pazienti che hanno avuto una storia di tumore alla prostata e le donne con storia di tumore al seno (che sono i tumori più frequenti rispettivamente per il sesso maschile e femminile) svolgono un trattamento standard che prevede l’uso del GnRH determinante una deprivazione ormonale. La deprivazione ormonale determina ipogonadismo che a sua volta determina un maggiore turn over osseo, una perdita della massa ossea e un aumentato rischio di fratture52.

Anche qui, una terapia di monitoraggio della qualità e quantità ossea che preveda un approccio sia farmacologico (calcio, vitamina D, bifosfonati) che educativo sullo stile di vita è consigliabile53. Un discorso simile può essere esteso al Megestrol e agli agenti progestazionali utilizzati per la cura del tumore metastatico al seno e dell’endometrio54. La leucemia linfoblastica acuta nei bambini viene generalmente trattata con il metotrexato che a causa di una reazione idiosincratica avversa può determinare dolore osseo, osteoporosi e fratture da stress54,55

Anche diversi farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale (ansiolitici, ipnotici, antidepressivi, oppioidi, antiepilettici, antipsicotici) sembrano essere associati a un aumentato tasso di fratture nell’anziano56. Antipsicotici, oppioidi e antiepilettici hanno un effetto diretto sulla densità ossea mentre gli altri determinano un aumento del rischio di caduta derivante dall’effetto di stordimento che questi hanno57

Un deficit persitente di vitamina D determina osteomalacia e di conseguenza fragilità ossea nell’adulto. Tale condizione può essere determinata anche da farmaci che stimolano il catabolismo della vitamina D (fenitoina, fenobarbitali, carbamazepina e antiepilettici)58. In particolare, in soggetti che fanno uso da almeno 5 anni di fenitoina, il rischio di sviluppare fratture (soprattutto di anca e calcagno) è aumentato del 29%, pertanto, in questo tipo di soggetti, interventi preventivi, educativi e di monitoraggio devono essere messi in campo59,60.

Anche l’etidronato, che appartiene alla categoria dei bifosfonati (ma tale discorso è estendibile anche ai bifosfonati di seconda e terza generazione), può essere un fattore di rischio per lo sviluppo di osteomalacia soprattutto in soggetti già affetti dal morbo di Piaget, mentre posologie intermittenti dello stesso farmaco sembrerebbero prevenire tale effetto avverso22. Anche la terapia a base di fluoruro è un fattore di rischio per le fratture da stress4,5.

Una patologia specifica del soggetto adulto-anziano è quella dell’osteonecrosi avascolare, che generalmente colpisce la testa del femore, a volte anche bilateralmente, e che evolve rapidamente in osteoartrite. La patogenesi mostra come alte dosi di corticosteroidi possano determinare (sin da 7 giorni dopo l’inizio della terapia) un’ipercoagulazione localizzata nella microcircolazione terminale della testa del femore e di conseguenza un’ischemia miscrovascolare (soprattutto in pazienti che hanno subito un trapianto di rene)61,62.

La terapia corticosteroidea ad alte dosi è quindi un importante fattore di rischio per lo sviluppo di tale patologia che può però essere preventivamente evitata attraverso un controllo tramite risonanza magnetica a 4 mesi dall’inizio della terapia farmacologica in questione (anche se il paziente è asintomatico)63.  

Anche i pazienti che subiscono, a seguito di una patologia oncologica, dei trattamenti intravenosi di acido poledromico e pamidronico o di acido aledronico possono sviluppare osteonecrosi della mascella tra i nove i diciotto mesi dall’inizio della terapia, soprattutto se il paziente lamenta una storia di problemi dentali (rimozione di denti e/o infezioni ricorrenti)64,65.  

Miopatie indotte da farmaci

Tra le miopatie indotte da farmaci sicuramente vanno annoverate quelle indotte da statine, fibrati e dall’acido nicotinico con un’incidenza che si attesta tra lo 0,1 e il 5% dei pazienti che ne fanno uso. Le miopatie sono disturbi muscoloscheletrici generalmente caratterizzati da mialgia, debolezza muscolare e rigidità che possono svilupparsi in maniera regionale, prossimale o generalizzata66. La patogenesi indotta da farmaci di queste patologie deriva dal processo di rabdomiolisi che può portare a mioglobinuria e di conseguenza a sindromi renali acute67

Miopatia farmaco indotta: mialgia
Miopatie indotte da farmaci

I soggetti più colpiti dagli effetti collaterali di questo farmaco sono le persone anziane che subiscono alti dosaggi e hanno diverse comorbidità (diabete mellito, insufficienza epatica e renale e ipotiroidismo). La miopatia indotta da farmaci potrebbe svilupparsi anche diverse settimane dopo l’inizio della terapia ma tende a risolversi quasi immediatamente dopo l’interruzione del farmaco66

Gli anticorpi monoclonali utilizzati per il trattamento di melanomi avanzati in soggetti adulti in cui altre terapie sono state fallimentari sembrano stimolare la patogenesi di polimialgia reumatica che tende però a rispondere correttamente a una terapia di corticosteroidi68,69.

L’uso prolungato di corticosteroidi può indurre una miopatia simmetrica, asintomatica, caratterizzata da atrofia e debolezza muscolare soprattutto a livello pelvico senza segni neurologici. Anche in questo caso, la patologia è associata ad elevati dosaggi di corticosteroidi e tende a svilupparsi in breve tempo (dopo qualche settimana o mese). Le caratteristiche descritte in precedenza in associazione a una completa risoluzione con la riduzione del quantitativo di dosaggio determinano la specificità di questo quadro clinico28.  

Quando prescritti ad alte dosi, gli agenti antimalarici possono indurre miopatia e neuromiopatie fino a quasi il 6% della popolazione che ne fa uso. Tale complicanza è generalmente osservata dopo sei mesi dall’inizio della terapia farmacologica28. Anch’essa si manifesta come una miopatia asintomatica ma che degenera nel corso del tempo con un’ingravescente debolezza dei muscoli prossimali di gambe e braccia. Data la componente degenerativa neurologica del disturbo, sebbene il miglioramento è visibile dopo 3-6 mesi dall’interruzione della terapia, il recupero potrebbe essere incompleto70

Pazienti che prendono dosaggi terapeutici di colchicina per un periodo prolungato possono andare incontro a miopatia prossimale combinata a polineuropatia soprattutto se i soggetti già soffrono di insufficienza renale e se fanno già uso di ciclosporina. La presentazione clinica, oltre alla debolezza dei muscoli prossimali, evidenzia areflessia distale e perdita della sensibilità28

Conclusioni

Nella pratica clinica del fisioterapista è necessario considerare la possibilità di trovarsi di fronte a problemi muscoloscheletrici indotti da farmaci. Una conoscenza di base dei possibili link tra farmaco e potenziali effetti muscoloscheletrici avversi è ad oggi quanto mai richiesta vista la sempre più elevata diffusione di prescrizioni farmacologiche. Un lavoro coordinato tra fisioterapista e medico curante potrebbe identificare le cause della persistenza di un dolore muscoloscheletrico persistente attraverso l’identificazione di una potenziale patogenesi iatrogena. 

È possibile dunque giungere alla conclusione per cui l’uso inappropriato (eccessivamente prolungato o a dosaggi troppo elevati) di determinate classi di farmaci sono un fattore di rischio per lo sviluppo di alcune patologie muscoloscheletriche

A parità di farmaco somministrato, i disordini muscoloscheletrici conseguenti possono variare profondamente da un paziente all’altro sia al livello di presentazione clinica che al livello di severità a causa di differenti variabili (fattori genetici, fattori ambientali, dose del farmaco, durata della somministrazione). L’identificazione precoce di questi casi specifici può portare, attraverso processi di monitoraggio o di cambiamento della terapia farmacologica da parte del medico, a un cambiamento drastico della prognosi del paziente.