Spondilolistesi

Ecco una guida per il fisioterapista su valutazione e trattamento della spondilolistesi.

spondilolistesi fisioscience

La spondilolistesi è definita, secondo la NASS (North American Spine Society), come uno scivolamento anteriore di una vertebra sulla sottostante. Spesso è considerata come un’evoluzione di una spondilolisi (40-66% pazienti con spondilolisi bilaterale evolve in listesi, mentre non si verifica in quei soggetti con lisi unilaterale) con conseguente ipermobilità del segmento e quindi possibile fonte di LBP (Low Back Pain).

Questa viene classificata (Meyerding Classification system) in base allo scivolamento della vertebra rilevato con una RX laterale in stazione eretta1,2,3,4:

  • Grado I – scivolamento del 25%;
  • Grado II – scivolamento tra il 26% e il 50%;
  • Grado III – scivolamento tra il 51% e il 75%;
  • Grado IV – scivolamento tra il 76% e il 100%;
  • Grado V – scivolamento >100% (spondiloptosi).

Il ruolo della spondilolistesi nel tempo è stato spesso dibattuto in quanto i ritrovamenti radiografici non combaciano con i sintomi clinici, di fatti, la maggior parte delle spondilolistesi sono asintomatiche5.

L’incidenza è il 5-6% nella popolazione adulta mentre è del 12% nell’età tra i 10-15 anni, soprattutto in chi pratica sport ad alto impatto (football, atletica professionale, ginnaste/i, diving, weight lifting, wrestling). Ciò è correlato all’idea che questo scivolamento avvenga durante l’accrescimento in quanto raramente progredisce in età adulta se non dopo la terza decade di vita, dopo la quale è stato osservato un progressivo scivolamento (variabile dal 9% al 30%) in associazione alla progressiva degenerazione del disco.

Sebbene l’incidenza della spondilolisi sia maggiore negli uomini rispetto alle donne 2:1 (M:F), lo scivolamento, quindi la listesi, è fino a 5 volte più frequente nelle donne 1:2-5 (M:F), ciò probabilmente è dovuto alla maggiore inclinazione pelvica e di L4, all’orientamento più sagittale delle faccette lombari, alle gravidanze, BMI maggiore, lassità legamentosa e fattori ormonali5,6,7.

spondilolistesi
Spondilolisi e spondilolistesi.

Tipologia di paziente

Come anticipato, il paziente con spondilolistesi è spesso asintomatico. Quando sintomatico, può presentarsi con5,6,8:

  • low back pain con o senza deficit neurologici agli arti inferiori a seconda che lo scivolamento irriti o meno il tessuto nervoso; non diamo per scontato che uno scivolamento vertebrale, seppur marcato, causi questa irritazione in quanto sono ormai famose immagini RX di somi vertebrali scivolati completamente davanti al sacro in pazienti asintomatici;
  • dolore (quando presente) localizzato in zona paravertebrale, glutea e posteriore della coscia;
  • estensione ed estensione associata a rotazione che peggiorano i sintomi;
  • probabile dolore radicolare con o senza dolore assiale;
  • claudicatio neurogena;
  • ROM limitato;
  • spasmo del gruppo dei paravertebrali;
  • deformità palpabile “step-off”, cioè una sorta di salto durante la palpazione delle spinose;
  • sintomi neurologici come perdita di forza, di sensibilità e/o dei riflessi (loss of function); in questo caso il paziente deve essere inviato a visita specialistica perché potrebbe essere candidato a intervento chirurgico di stabilizzazione.
spondilolistesi: esame neurologico
Esame neurologico.

Patofisiologia

Secondo la classificazione di Wiltse-Newman, la spondilolistesi viene divisa in 6 categorie in base alla patogenesi4,6,7:

  • displasica o congenita, mancata formazione della pars interarticularis;
  • istimica o spondilolitica, secondaria a spondilolisi;
  • degenerativa, definita secondo la NASS come “Una dislocazione anteriore acquisita di una vertebra sulla sottostante, associata a cambiamenti degenerativi in assenza di un’associata lesione o problematica a carico dell’anello vertebrale”; uno scivolamento è meno probabile in soggetti in cui il disco ha un’altezza ridotta dell’80% e in cui sono presenti ponti osteofitici;
  • traumatica, ovvero secondaria a trauma (trauma diretto, frattura da stress, o secondaria a microtraumi ripetuti);
  • patologica, secondaria a patologia ossea;
  • iatrogena.

Sembrerebbe esserci una predisposizione genetica in particolare nel primo grado di parentela.


Diagnosi differenziale

Vediamo ora quali sono le patologie da indagare ed escludere durante il processo di diagnosi differenziale nel paziente con sospetta spondilolistesi:

Secondo la NASS, la diagnosi di spondilolistesi è possibile solo tramite una radiografia in proiezione laterale effettuata in stazione eretta. L’MRI è invece consigliata in quei pazienti con sintomi neurologici e qualora non fosse possibile sottoporli a tale esame o se l’MRI è stata inconcludente, viene raccomandata la TC. Durante l’RX è importante standardizzare il più possibile la posizione del paziente in quanto questa sembra influenzare significativamente il grado di scivolamento e quindi la stadiazione della spondilolistesi1,2,3.


Elementi anamnestici

Anamnesticamente, il paziente con spondilolistesi vi riferirà1,2,3,6:

  • un esordio insidioso dei sintomi (nei soggetti sopra i 10 anni può coincidere con una crescita rapida o l’ingresso in età puberale) magari scatenato da movimenti in estensione e rotazione;
  • dolore presente durante alcune attività, in particolare quelle che richiedono estensione o estensione e rotazione, ad esempio ginnaste o ballerine con ipermobilità, lassità e aumento della lordosi lombare, ragazzi all’apice della crescita con scarsa flessibilità e paravertebrali con un aumentato tono di base o un soggetto che ha iniziato da poco attività con richieste intense senza un adeguata preparazione;
  • un dolore, specialmente in fase acuta, che non si riduce con il riposo ed è presente mantenendo la stazione seduta e camminando;
  • una probabile familiarità per spondilolistesi;
  • esami diagnostici positivi, in particolare un’RX in stazione eretta in proiezione sagittale (gold standard) nella quale si evidenzia la spondilolistesi.

Bisogna ricordarsi che il grado di spondilolistesi non è correlato all’entità dei sintomi. In alternativa, il paziente con spondilolistesi potrà presentarvi lo stesso esame diagnostico, effettuato per altra motivazione, e chiedervi delucidazioni riguardo a tale scivolamento, il tutto, chiaramente, in totale assenza di sintomi.


Esame obiettivo e valutazione

Morfologicamente, il paziente può presentarsi con la zona sacrale che appare più verticale e alla palpazione delle spinose delle vertebre è possibile sentire come un vuoto, uno “step-off” al livello in cui la vertebra è scivolata anteriormente. Il cammino solitamente non ha alterazioni a meno che non sia inficiato dal dolore con conseguente deambulazione antalgica in lieve flessione anteriore del busto, flessione di anche e ginocchia (Phalen-Dickson sign).

Il ROM può essere limitato in flessione ed estensione, con quest’ultima provocativa per dolore familiare del paziente sia in attivo che in passivo. L’esame neurologico è solitamente negativo in questi pazienti. Quando positivo, sarà necessario rinviare il paziente a consulto specialistico in quanto potrebbe indicare la presenza di patologia più seria (frattura dell’arco vertebrale o del soma con conseguente instabilità che irrita le strutture nervose limitrofe).

spondilolistesi: estensione
Valutazione del ROM in estensione attiva lombare.

Per quanto riguarda i test specifici, in letteratura ne vengono proposti diversi:

  • Single Leg Hyperextension test (scarsa abilità di rilevare una spondilolistesi attiva) (SN: 50% SP: 46%);
  • Active Straight Leg Raise Test (ASLR), ha una buona capacità di valutare la capacità di trasferire e gestire il carico tra schiena e arti inferiori (SN: 87% SP: 94%);
  • Passive Lumbar Extension test (PLE), ha una buona capacità di valutare l’instabilità segmentaria lombare conseguente alla spondilolistesi (SN: 84% SP: 90%);
  • Prone Instability test (PIT) è spesso positivo in pazienti con LBP cronico e per le sue caratteristiche psicometriche non è consigliabile da utilizzare isolatamente (SN: 44% SP: 45%).

La diagnosi certa si ha incrociando i segni e sintomi del paziente con l’esame radiografico effettuato tenendo conto della posizione del paziente in stazione eretta in proiezione laterale e obliqua di 45° in modo da evidenziare un’eventuale lesione a collare di “Scottie dog” indicativa di una lesione/frattura della pars interarticularis4-6.


Trattamento

Per la maggior parte dei pazienti, l’approccio conservativo è sufficiente a far regredire e/o gestire i sintomi. Sotto l’ombrello di approccio conservativo rientrano i trattamenti qui sotto riportati.

Approccio farmacologico

Antinfiammatori non steroidei, inibitori COX-2, prendisone e metiprendisone vengono spesso utilizzati come antinfiammatori o analgesici in pazienti con frattura istimica. Questi sono da considerare per un breve periodo durante la gestione della problematica in fase acuta, ma sono da evitare in quei soggetti a rischio di ritardo di consolidamento. In questa categoria rientrano anche le infiltrazioni (interlaminale e transforaminale) che devono essere effettuate con precisione e gestite in base al paziente4,6.

Riposo e immobilizzazione

È indicato il riposo con utilizzo di un corsetto (per quanto riguarda le spondilolistesi secondarie a fratture) nelle fasi acute di durata variabile dalle 2 settimane ai 6 mesi, abbinato all’addestramento su come modificare le attività in modo da evitare i movimenti aggravanti e favorire gli allevianti. L’utilizzo di corsetto può essere considerato durante la gestione della fase acuta in base alle preferenze del paziente4,6.

Terapia manuale e terapie fisiche

Tecniche di mobilizzazione articolare e sui tessuti molli così come la TENS sembrerebbero avere un buon effetto nella gestione del dolore a breve termine se associate a esercizio5.

Esercizio terapeutico

È risultato efficace nell’84% dei pazienti con un miglioramento rilevato tramite Oswestry Disability Index (ODI), NRPS sia a breve che a lungo termine. Gli esercizi proposti comprendono4,5,6,7,8,9:

  • attività aerobica;
  • esercizi in flessione;
  • rinforzo muscolatura addominale;
  • rinforzo e sensibilizzazione degli stabilizzatori segmentari (multifidi in particolare);
  • esercizio pliometrico e controllo motorio.

Strategie Psico-sociali

Soggetti che subiscono un lungo periodo di recupero o che non riescono a rilevare dei progressi durante il loro percorso di cura possono andare incontro a catastrofizzazione dei propri sintomi e all’evitamento delle attività per paura del dolore. In tali pazienti è stato dimostrato come un approccio multidisciplinare volto esclusivamente ad affrontare queste due problematiche sia equivalente al trattamento tradizionale (ciò fa intuire l’importanza della componente psico-sociale al pari di quella biologica)6.

In quei pazienti in cui l’approccio conservativo fallisce o con segni neurologici quali perdita di forza, alterazioni della sensibilità e dei riflessi è da considerare la soluzione chirurgica. L’approccio chirurgico ha dei criteri ben definiti in base a età del paziente, sue caratteristiche cliniche e grado di scivolamento della vertebra1,2,3,4,6.

IABambini e adolescenti con basso grado do spondilolistesiFallimento di approccio conservativo prolungatoDolore a schiena e gambe non responsivo ai trattamentiScivolamento progressivoDeteriorazione neurologica
IBBambini e adolescenti con alto grado di scivolamentoScivolamento superiore al 50%Sintomi neurologiciProgressione e degenerazione meccanica delle superfici articolari
IIAAdulti con alto grado di spondilolistesiLBPDolore radicolare
IIIA e BAdulti > 40 anni con basso grado di spondilolistesi e spondilolistesi degenerativaLBP con irradiazione agli arti inferioriClaudicatio neurogena persistente o ricorrenteFallimento approccio conservativoSintomi neurologici progressiviSindrome della cauda equina

Il trattamento chirurgico consiste, a discrezione dello specialista in base alle caratteristiche del soggetto, in uno dei seguenti interventi1,2,3,4:

  • decompressione;
  • decompressione + fusione;
  • riduzione + fusione.

Prognosi

La spondilolistesi è una caratteristica morfologica a carattere benigno con una prognosi favorevole nella maggior parte dei casi in quanto spesso asintomatica. Quando sintomatica è gestibile conservativamente con approcci multimodali che vanno dall’educazione del paziente, utilizzo di corsetti, modifica delle attività e utilizzo di farmaci in una prima fase acuta, per poi passare a un approccio sempre più attivo volto al rinforzo degli stabilizzatori segmentari (ex. multifidi) e globali e al controllo motorio in modo da ottimizzare la distribuzione delle forze e moltiplicare le strategie motorie.

Tale percorso, in dipendenza delle caratteristiche del soggetto, può avere una durata variabile dalle 2 settimane ai 6 mesi4,6,9 con ottimi outcome anche a distanza di anni6. In quei pazienti in cui fallisce l’approccio conservativo o con segni neurologici può essere necessario l’intervento chirurgico per il quale fattori prognostici positivi sono7:

  • genere femminile;
  • età < 67 anni;
  • assenza di problematiche gastriche;
  • claudicatio neurogena;
  • asimmetria dei riflessi;
  • uso di oppiodi;
  • non assunzione di antidepressivi;
  • insoddisfazione a causa dei sintomi;
  • aspettativa riguardo alla risolutività dell’intervento.

I pazienti con tali caratteristiche che vengono sottoposti a intervento chirurgico di decompressione e fusione hanno anch’essi buoni outcome misurati tramite ODI e SF-36 anche a distanza di 4 anni1,2,3,7.